Il tabù lo ha infranto il politologo Angelo Panebianco sul Corriere della Sera: l’Unione Europea, così com’è, è arrivata al capolinea. Ma ce ne eravamo già accorti in tanti, e dolorosamente. Perché l’idea di un’alleanza fra le democrazie è uno dei grandi principi ideali sostenuti dai Comitati, e speravamo che la UE potesse incarnarli. Invece non è andata così: la Germania ha piegato i Paesi più deboli alla sua potenza e ai suoi interessi economici; la Francia si è accodata per sedere al tavolo dei potenti; la Gran Bretagna ha preso discretamente le distanze e si appresta a sottoporre a un referendum (perfettamente democratico) la sua futura partecipazione ai Ventotto; intanto l’Italia protesta flebilmente perché non ha né il bilancio né la forza politica per farsi prendere molto sul serio.
Date le premesse, tutti si aspettano due conseguenze dal voto europeo del maggio prossimo: un crollo della partecipazione e un’avanzata generale dei partiti antieuropeisti. E a quel punto, l’ipotesi più probabile sarà un levarsi di pianti e uno strapparsi di capelli dei grandi media, espressione dei poteri forti; seguirà verosimilmente una specie di grande coalizione in salsa europea, cioè un’alleanza dei partiti tradizionali (popolari e socialisti in testa) per fronteggiare la “marea populista” e garantire un futuro all’Unione.
Ma quale futuro? Quello di un bilancio ridotto a campo di battaglia, e i cui impieghi servono principalmente a mantenere l’euroburocrazia elefantiaca, i regolamenti soffocanti, i finanziamenti regolati da quote e parametri cervellotici, fonte soprattutto di sprechi e corruzione? E quale presente? Quello di un contenitore dove ognuno cerca di accaparrarsi ciò che può, magari mettendo in discussione (vedi la Francia) l’accordo di libero mercato con gli Stati Uniti?
Se questo è il destino europeo, noi diciamo chiaramente: grazie, ne facciamo a meno. Pensiamo piuttosto a una rifondazione europea, in pratica la nascita di una Confederazione che metta in comune alcune funzioni degli Stati (quelle che da soli essi non riuscirebbero ad espletare, una sussidiarietà che dovrebbe valere a tutti i livelli territoriali) e lasci libera l’azione dei singoli in tutto il resto. Una Confederazione che mantenga il valore ideale della democrazia da espandere fuori dai suoi confini (un modello cui guardano tanti Stati in via di sviluppo e di rinascita nazionale); affermi un Grande Mercato Unico con gli Stati Uniti, senza protezionismi e con l’intento di accrescere la ricchezza di tutti; limiti il bilancio confederale alle dimensioni medie di uno dei suoi membri; favorisca la democrazia diretta a tutti i livelli fra i suoi aderenti, compresa la libertà di aderire o meno alla Confederazione stessa attraverso referendum; elimini tutti gli ostacoli allo scambio delle persone, del lavoro e dei capitali; adotti una politica monetaria flessibile, a cominciare dal fiscal compact e dal rapporto deficit/pil per favorire la crescita. E l’euro? Avrà un futuro se saprà adattarsi alla nuova realtà europea.
Infine: meglio porre ora queste grandi questioni, prima che se ne impossessino strumentalmente le forze antiliberali di qualsiasi colore.
Gaston Beuk