Se Sindona avesse imitato Cavour

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Ignazio Visco, il Governatore di Bankitalia che non ha il carisma cosmico del guerriero Ronald Reagan ma in compenso ha una cultura immensamente superiore al cowboy della Casa Bianca che ha cambiato il xx secolo, ha esposto alla fine di maggio 2017 le sue Considerazioni Finali tanto attese e largamente anticipate da un frizzante e ottimo Massimo Giannini su Affari e Finanza.
Visco è apparso stanco, quasi depresso, il suo discorso non ha fatto battere il cuore, ma è stato tranchant, chiaro: è una denuncia caratterizzata da un disincanto ultra-realista che nemmeno Massimo Cacciari – al massimo della sua brillante arroganza esibizionistica –è in grado di manifestare sulla rovina sociale dei demoni populisti che hanno assalito il Movimento Cinque Stelle, del mancato avvio della via italiana alla reaganomics sempre annunciata in un inferno lastricato di buoni propositi, a causa della vittoria delle arciconfraternite degli interessi costituiti (come le chiamava il mitico Guido Carli).
Partiamo dal riassunto dell’Adnkronos: “Un intervento “fuori sacco”, quello di Visco, del tutto inusuale nelle proporzioni che si lega, almeno nella percezione di molti, alla presenza in prima fila del presidente della Bce Mario Draghi. Una presenza significativa, anch’essa inusuale, che può essere letta come una plastica manifestazione di sostegno all’operato del numero uno di Via Nazionale… Se nelle Considerazioni già si dice che “nei casi di mala gestio le ipotesi di reato sono state segnalate all’autorità giudiziaria con tempestività, avviando la collaborazione con la magistratura già nel corso degli accertamenti ispettivi”, l’intervento a braccio si apre con una netta presa d’atto: “la Banca d’Italia in questi anni è stata criticata. A volte anche con toni piuttosto aspri, spesso con imprecisioni anche gravi. E’ stata accusata di non aver capito quello che stava accadendo in alcune banche. O di essere intervenuta troppo tardi”.
Non va sottovalutato il fatto che, nella parte introduttiva della sua requisitoria, Visco abbia menzionato Sindona: “Le crisi bancarie, purtroppo, non sono una peculiarità dei nostri tempi. E, come dimostra la storia, non è sempre possibile prevenirle. Negli anni 70 abbiamo avuto Italcasse, Sindona, il Banco Ambrosiano. Poi a ridosso del processo di privatizzazione, negli anni 90, il Banco di Napoli, il Banco di Sicilia, Sicilcassa”. Tutti agenti destabilizzanti del sistema nella sua ordinata convivenza civile, del Libero Mercato, ma con sullo sfondo l’elemento per niente trascurabile che il finto “salvatore della lira” Michele Sindona, fondatore della finta Banca Privata Italiana attraverso la cui geniale finzione da Pinocchio mascherato da Milton Friedman riuscì a ingannare davvero mezza Italia mentre riciclava i tesori di Cosa Nostra, era un giocatore d’azzardo alla Vincent Van Gogh: voleva accedere alla stanza dei bottoni senza faticare come un vero capitalista (con il risultato che si fatica ancora di più!). Peccato – mi viene da aggiungere – perché Sindona era una persona estremamente intelligente, ma con un grave disturbo narcisistico della personalità. Tuttavia, dall’inizio alla fine della sua ascesa da falso imprenditore nel senso psicopatologico del termine, voleva avere tutto subito… Anche Camillo Benso di Cavour corse il rischio – per le stesse ragioni – di fare la fine del gambler artisticamente borderline Michele Sindona. A pag. 49 del libro “Cavour – Storia pubblica e privata di un politico spregiudicato”, Piero Ottone parla con una chiarezza del narcisismo patologico del giocatore d’azzardo Cavour, più fortunato di Sindona: “Cavour fu un uomo d’azione: discendeva nella storia della civiltà dal prototipo del guerriero, non del sacerdote. E gli uomini d’azione, contrapposti agli uomini di pensiero, hanno di loro natura, per lo più, due caratteristiche: amano le belle donne e sono giocatori d’azzardo. Lasciamo agli psicologi il compito di spiegare perché… Naturalmente, al gioco, perdeva. Ma il vero giocatore non gioca per vincere, non gioca per arricchirsi: gioca per perdere, non ha pace fino a quando non ha perso tutto. La componente narcisistica nella personalità di Cavour trovava soddisfazione nella calma che sapeva mantenere nonostante le perdite… Andò peggio a Parigi. La zia Vittoria, sorella della madre, aveva perso il marito, il duca di Clermont-Tonnerre, “un uomo insignificante”, scrive un biografo inglese, nonostante il nome imponente; ma ricco. Bisognava vendere alcune foreste in Francia che facevano parte dell’eredità, e Camillo ricevette l’incarico di andare a Parigi per curare la vendita, perché era l’unico in famiglia con molto tempo a disposizione. Lui era ben contento di fuggire dalla noia della vita torinese: si installò a Parigi, nel miglior albergo della città, e si diede alla bella vita. Purtroppo venne anche a sapere di un’iniziativa del governo francese (guidato da Thiers) nel Medio Oriente, un’iniziativa che l’Inghilterra di Palmerston non avrebbe tollerato, e che rischiava di provocare, così pensavano in molti e così pensava anche Cavour, una rovinosa guerra. Con la guerra i titoli in Borsa sarebbero crollati. Camillo giocò dunque al ribasso, allo scoperto, impegnando una somma ingente. Poi la guerra non venne, Thiers fu costretto dal re Luigi Filippo a fare marcia indietro: la perdita di chi aveva giocato fu disastrosa. Che fare? Una sola via d’uscita, per Camillo: chiedere al padre di salvarlo. Non c’erano alternative: “O pago”, scrisse Camillo, “o mi faccio saltare le cervella”. E il marchese pagò. Ma col denaro gli mandò una lettera bellissima. Ecco i brani che meglio rivelano il carattere di chi la scrisse, e lo stile dei rapporti fra quel padre e quel figlio. Dopo avergli spiegato come avrebbe ricevuto, a Parigi, il denaro necessario per pagare i debiti, “adesso, mio caro Camillo, che il male è stato fatto, rivediamolo insieme”, scrisse il marchese, “per trovare un rimedio per il futuro; essendo tuo padre ricapitolerò la tua condotta, perché tu sei malato di orgoglio. Tu credi di essere l’unico giovanotto in grado di diventare da un momento all’altro un ministro – un banchiere – un uomo d’affari – uno speculatore – e questa grandiosa opinione di te stesso non ti ha mai permesso di pensare che forse commettevi qualche errore… La miniera è sfruttata male ma il minerale è ottimo: sfruttiamolo insieme”.
Ecco, se Sindona avesse scelto la strada di Cavour (un passo alla volta anziché il successo tutto e subito) non sarebbe molto probabilmente morto in galera con il passaggio psicotico alla suicida. E avrebbe consegnato ai posteri un gioiello di capitalismo renano (come Guido Carli aveva intuito vedendo nelle contraddizioni di Sindona la luce in fondo al tunnel).
Purtroppo c’è un altro personaggio in giro che ha scelto il “metodo Sindona” rispetto alla “follia lungimirante” di Camillo Benso. Ne avete sentito parlare?

di Alexander Bush

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Alexander Bush
Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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