A parte le scorse fiammate di cronaca, che compresero atti di terrorismo e dura repressione da parte della Russia di Putin, chi si ricorda più della Cecenia?
E’ uscito un libro storicamente molto interessante di Irena Brezna ( “Le lupe di Sernovodsk”, Keller editore, 211 pag., 16 euro). Brezna è scrittrice e giornalista svizzera giunta a Mosca per scrivere reportage. Una sua frase, riportata da Anna Politkovskaja, donna scomoda quindi uccisa da sicari: « I reporter, per come la vedo io, se non vanno in Cecenia e non protestano, sono complici». La città di Sernovodsk, si legge nel libro, «è indicativo della Cecenia intera». Qui alcuni vittime sono diventate kamikaze, «portatori di una bomba di cui volevano condividere l’esplosione».
Ma come sono arrivati a gesti così estremi e-aggiungo io – così esecrabili? Il regime moscovita seguiva la tacita legge del gulag maschili: «…un prigioniero viene violentato, se ne cancellano la mascolinità e l’umanità, diventa un essere non-umano, lo si chiama “pisello” o “rottinculo”». Le forze armate di Putin «danno il via alle perversioni: agite secondo la legge criminale e non verrete puniti… il popolo ceceno diventa ufficialmente un bottino dichiarato». A proposito delle donne ribelli e “martiri” in un paese femminista, leggiamo: «Le orfane che all’epoca avevano dieci anni ora sono spose della morte e si fanno saltare in aria in nome della purezza… la sentono così piena di macchie, la loro vita. Sono nate in una cultura della vergogna». E ancora: «Essere bombardati è umiliante, essere saccheggiati pure, è umiliante avere una figlia con il braccio monco, è umiliante essere violentati, è così umiliante che la donna desidera morire; trovare la madre disonorata nel cortile di casa è umiliante da far perdere i sensi… la gente che si vergogna la si può facilmente manipolare».
Pier Mario Fasanotti