“Ciò che separa i vincitori dai perdenti è il modo in cui una persona reagisce ad ogni nuova svolta del destino”
Donald Trump
“E’ più dignitoso ammazzarsi che chiedere aiuto”
Bruno Bogarelli a Bettina Ottone
Qual è il motore più potente al mondo?
Sono gli stati misti. Se dovessi fare mia la Weltanschauung di Steve Jobs – e che non mi appartiene – io direi: la condizione mista – quella situazione in cui frustrazione ed eccitazione si mescolano negli “state of mind” del soggetto che sperimenta gli ascensori, che si sente perdente e vincente allo stesso tempo; la condizione mista fonda il rapporto “disintermediato” tra il diniego e la realtà. E il confronto tra diniego e realtà può riservare insidie mortali. Si può morire, sognando.
Il suicidio è eziologicamente collegato alla destabilizzazione degli stati misti. Kantianamente parlando, perché? Non c’è via d’uscita. Non aveva via d’uscita Tommaso Buscetta in Brasile: la sola via d’uscita era il maxiprocesso, al limite della morte.
C’è una scena indimenticabile nel film “L’avvocato del diavolo”, in cui l’avvocato Milton che è la maschera del Grande Tentatore all’ultimo piano di un grattacielo che domina New York City dice al suo enfant prodige, che in realtà è suo figlio: “… So che ha talento; lo sapevo anche prima che venisse qua. E’ solo un’altra cosa che mi dà da pensare (Milton è tra il grattacielo e il precipizio, ndr). “Mi dica, che cosa?”. “La pressione. Cambia tutto vivere sotto pressione; certe persone le spremi, e si svegliano. Altre crollano”.
Nel 1993 esattamente nello stesso periodo Silvio Berlusconi e Raul Gardini erano tutti e due tra gli stati misti. Nel mirino della Procura di Milano, e non dormivano la notte tra molti fantasmi. Il terrore del carcere, soprattutto. La paura della povertà e altri pericoli. Entrambi avevano fatto il passo più lungo della gamba: I can have the cake and eat it.
L’obiezione che mi viene fatta da più parti – anche da Guidoriccio da Fogliano – è che Sua Emittenza aveva una via d’uscita che al ravennate Raul mancava: le televisioni.
No, è una deduzione. E vediamo come, attraverso una ricostruzione al cardiopalma che non tralascerà alcun dettaglio. Di Gardini, come già mi aveva detto con un lampo di cinismo cosmopolita negli occhi Ottone, non si può non ricordare il volto tremebondo e il gambling senza fine, proprio come Silvio. E poi la tragedia dell’avviso di garanzia recapitatogli dalla Procura di Milano per la maxitangente Enimont. Spesso nella vulgata comune si dice, di questo o quel personaggio finito travolto dalle cronache: aveva fatto il passo più lungo della gamba; in realtà, non è forse vero che Enrico Mattei aveva fatto il passo più lungo della gamba? E Calvi, così simile al navigatore disgraziato Donald Crowhurst, non aveva fatto il passo più lungo della gamba facendo cadere il Muro di Berlino e sacrificando la sua vita finita sotto l’impalcatura metallica del Blackfriars Bridge a Londra alla grandezza di Giovanni Paolo II che la sera usciva di nascosto – come è stato detto -, non certo per andare a benedire le case? Proprio Wojtyla chiederà a Marcinkus di neutralizzarlo.
E ancora, non aveva fatto il passo più lungo della gamba Barbapapà chiedendo prima a Francesco Pazienza 4 milioni di dollari, e poi al Banco Ambrosiano attraverso l’ingresso di Carlo De Benedetti 82 miliardi per salvare “la Repubblica” dalla bancarotta? Il decollo di Scalfari è l’altra faccia di Mino Pecorelli; ma oggi tutti dicono che Pecorelli, che viveva per “Op” e delle tangenti si serviva solo per il suo giornale, aveva fatto il passo più lungo della gamba. Perché quello che conta è il bilancio finale.
Così il giovane di talento Matteo Cavezzali descrisse la “condizione mista” di Raul Gardini nel suo
masterpiece “Icarus. Ascesa e caduta di Raul Gardini”; in un capitolo dello stesso libro c’è la ricostruzione di un incontro tra il genero di Ferruzzi e Salvatore Riina che rimane al Tribunale della Storia, ma nel 1984 Tommaso Buscetta aveva confidato riservatamente a Giovanni Falcone che era stato raggiunto l’accordo tra la Calcestruzzi e Angelo Siino, il “Ministro dei Lavori Pubblici di Cosa Nostra” alle dirette dipendenze del capo dei capi:
“Un nuovo inizio.
La luce dei riflettori dello studio televisivo gli faceva brillare i capelli, li inargentava. Era emozionato.
Anche se aveva parlato molte volte in pubblico e in televisione, questa volta era diverso.
“La ringrazio di avere scelto la mia televisione per la sua prima apparizione dopo tutto quello che è successo”, dice Enzo Biagi guardando Gardini negli occhi. Lui gli risponde solo con un sorriso.
“Tra dieci minuti siamo in onda”, strilla uno dei tecnici da dietro il mixer. “Nove, otto, sette”.
Gardini si siede su una poltrona rosa. La telecamera gli si avvicina come un occhio indiscreto.
“Sei, cinque, quattro”. Biagi controlla un foglio di appunti, alza lo sguardo verso Gardini e fa un cenno di assenso. “Tre, due, uno”.
“Buonasera gentili spettatori, oggi abbiamo con noi un ospite speciale, che non ha bisogno di presentazioni: è Raul Gardini e i giornali hanno parlato solo di lui, negli ultimi mesi.
Gli rivolgo subito la prima domanda, quella che migliaia di italiani si stanno facendo da questa mattina, quando abbiamo appreso i risultati delle elezioni: un anno fa i giornali lo davano per spacciato. Come ci si sente oggi a essere il presidente del Consiglio più votato nella storia della Repubblica italiana?”
“Nella mia vita ho rischiato molto. In tanti hanno pronunciato la parola fine alla mia storia anzitempo, ma mi sono sempre rialzato. Quando sposai Idina mi dissero che sarei stato solo uno dei tanti al servizio della Ferruzzi, invece non fu così nemmeno per un momento. Quando rinunciai all’industria di cereali mi diedero per finito, invece riuscii a fare ancora più soldi.
Quando iniziai a giocare in Borsa mi dissero che ero un pirata e che la mia nave sarebbe presto affondata. Quando conquistai Montedison, dissero che Enichem mi avrebbe schiacciato, invece io mi presi anche quella. Quando scoppiò Tangentopoli e venne fuori il mio nome, tutti pensarono che per me fosse finita, ma non andò così. Io piaccio alla gente perché sono un italiano. Gli italiani sono un popolo fiero, noto per non arrendersi mai. Siamo stati conquistati nella storia da moltissimi imperi stranieri; con un po’ di astuzia, ci siamo sempre riscattati.
Anche se eravamo armati peggio dei nostri nemici. Credo che in questo momento di crisi della nostra democrazia, con metà della classe dirigente arrestata durante i processi di Mani Pulite, le persone abbiano voluto attraverso di me avviare un’esperienza politica che desse fiducia al paese”.
“Lei ha passato sei mesi in carcere con delle accuse di corruzione che poi i suoi avvocati sono riusciti a smontare, è tornato libero e ora, solo otto mesi dopo, è già presidente. Cosa è cambiato in lei mentre era in carcere?”.
“Il carcere è un luogo tremendo, dove però c’è molto tempo per pensare. Li ho riflettuto sullo stato delle cose nel nostro paese. Un paese allo sbando guidato da una classe politica corrotta, con una magistratura incompetente che non riesce a garantire giustizia ai più deboli. Gli italiani sono frustrati, arrabbiati e incompresi, così ho deciso di prendere posizione contro questo sistema di potere che ci opprime da decenni”.
“Silvio Berlusconi, che inizialmente aveva annunciato la sua discesa in campo, ha deciso di ritirarsi a un mese dalle elezioni. L’ha stupita la sua decisione?”.
“I sondaggi dicevano chiaramente che il suo partito non sarebbe nemmeno entrato in Parlamento: d’altra parte, trasmettere telenovelas e cartoni animati e governare un paese sono due lavori molto diversi, e gli italiani se ne sono accorti”.
“Cosa ha convinto la gente della bontà del suo partito Nuovo Rinascimento?”.
“Il sogno. Il sogno di vivere in un paese meno corrotto e più libero, meno vittima delle
raccomandazioni e più giusto, un paese migliore, il paese che ci meritiamo. Il mio è un sogno, quello di far ritornare l’Italia al centro del dibattito internazionale, come lo era al tempo di Lorenzo il Magnifico, di Leonardo e di Dante. L’Italia è un paese ricco di potenzialità che per troppi anni sono rimaste inespresse. Io, con la mia storia, ho dimostrato che i sogni possono diventare realtà. Bisogna però avere il coraggio di crederci davvero, fino in fondo”.
Nello studio di registrazione si leva un applauso.
Gardini sorrise guardando in camera.
“Gardini, lei si considera una persona felice?”.
“Tra un dolore e l’altro non siamo forse tutti persone felici?”…
Gli stati misti sono eziologicamente collegati al gesto suicidario: “Mentre pensava a queste parole girò il pomello della doccia, spegnendo l’acqua calda. La doccia non era servita a calmarlo. Forse se la sarebbe davvero cavata con sei mesi di carcere. Si mise l’accappatoio come ogni mattina. Si avvicinò alla scrivania su cui era appoggiato il “Corriere della Sera” che titolava “Cagliari dimenticato in cella. Oggi i funerali a Milano mentre proseguono le indagini del pool di Mani Pulite.” Aprì il cassetto e tirò fuori la Walther PPK. Si sedette sul letto. Respirò lentamente.
Appoggiò la canna della pistola alla tempia e chiuse gli occhi, per l’ultima volta”.
Sogno e realtà. A volte il conflitto è insostenibile. Una linea Maginot separava Raul dall’uomo di Arcore. Un urlo da leone.
Ecco come Silvio ha vissuto nello stesso momento gli stati misti: “Confalonieri e Letta mi dicono che è una pazzia entrare in politica e che mi distruggeranno. Che mi faranno di tutto, andranno a frugare tutte le carte. Che cosa devo fare? A volte mi capita perfino di mettermi a piangere sotto la doccia.” E poi, ha l’intuizione di un discorso di 13 minuti dalla finta biblioteca di Arcore mandato in onda a reti unificate il 26 gennaio 1994: c’è tutto Silvio, un po’ “latin heroe”, un “social climber” alla Carlos Menem, efficacissimo nella sua sincera insincerità: “L’Italia è il Paese che amo. Qui ho le mie radici, le mie speranze, i miei orizzonti.
Qui ho imparato, da mio padre e dalla vita, il mio mestiere di imprenditore. Qui ho appreso la passione per la libertà. Ho scelto di scendere in campo e di occuparmi della cosa pubblica perché non voglio vivere in un Paese illiberale, governato da forze immature e da uomini legati a doppio filo a un passato politicamente ed economicamente fallimentare”.
E’ la superficie della “liaison dangereuse” tra gravi frustrazioni e ambizione di passare alla Storia, il videomessaggio della tessera P2 1816.
Era il 26 gennaio del 1994 lo abbiamo già detto, e l’Italia poteva essere messa definitivamente in ginocchio come la Colombia di Pablo Escobar a colpi di bombe, attentati e stragi. La redazione di “Atlantide” osservava alcune settimane fa, precisamente il 25/05/2023:
“23 gennaio 1994. Allo Stadio Olimpico è appena terminata la partita di campionato tra la Roma e l’Udinese. Il pubblico di casa, deluso per la sconfitta della Roma, sta lasciando lo stadio mentre le forze dell’ordine controllano la situazione in una domenica fin qui molto tranquilla. Nessuno può immaginare che sulla strada panoramica che costeggia lo stadio ci sia Gaspare Spatuzza, appostato con un telecomando in mano, pronto a eseguire gli ordini di Giuseppe Graviano che vuole e ha organizzato un’altra strage, quella del colpo di grazia allo Stato…”.
“… Qui dietro c’è via dei Gladiatori, che è una strada senza uscita che porta verso un ingresso laterale dello Stadio Olimpico; lì sono stati parcheggiati due autobus, che dovranno riportare alle caserme un centinaio di carabinieri che sono stati impegnati nel servizio d’ordine intorno allo stadio. E lì, è stata parcheggiata anche una Lancia Thema imbottita di tritolo.
Quando i carabinieri sono seduti a bordo degli autobus, Graviano dà l’ordine e Spatuzza preme il pulsante del telecomando ma non succede nulla; come mai? E’ un miracolo, è un errore tecnico oppure c’è una mano interna o esterna a Cosa Nostra che interviene per impedire la strage? Questo non lo sappiamo.
Quello che sappiamo con certezza, è che quattro giorni dopo i due fratelli Graviano vengono arrestati a Milano mentre stanno tranquillamente cenando in un ristorante insieme alle loro mogli.
E quella mancata dello Stadio Olimpico sarà l’ultima strage programmata da Cosa Nostra”.
Gianfranco Donadio, magistrato commenta:
“Anche questa è una circostanza particolarmente strana, perché due fra i più pericolosi latitanti dell’epoca si erano recati a pranzo nello stesso locale, come se questo fosse un modo di fare compatibile con la straordinaria prudenza, la grande attenzione che ovviamente i latitanti ripongono in questa loro condizione di fuggitivi, di uomini ombra.
Furono traditi? Furono traditi da chi? Che cosa condusse le forze dell’ordine a bloccare i Graviano? A neutralizzare con questo arresto – attenzione – la perpetuazione del progetto stragista? Le stragi dovevano continuare.
Altri obiettivi dovevano essere colpiti, come ha indicato la Commissione parlamentare. Per esempio, Bologna, per esempio Venezia.”
L’arresto dei fratelli Graviano al ristorante “Gigi il cacciatore” è stato un colpo di mano alla Boris Berezovskij.
Nell’articolo “Ventinove anni fa l’arresto di Graviano: storia di stragi mafiose e verità ancora da scrivere” di Consolato Minniti, l’autore osserva: “… L’arresto a Milano. La ricostruzione… La prima imbeccata alle forze dell’ordine arriva da una fonte confidenziale che risiede nel quartiere Brancaccio, il feudo del boss Graviano e della sua famiglia. L’indicazione era quella di seguire Salvatore Spataro, infermiere di Palermo, poiché poteva rappresentare un possibile contatto con Giuseppe Graviano. Gli investigatori vogliono sia lui che il fratello Filippo. Le ricerche si fanno più stringenti dopo quanto avvenuto il 15 settembre 1993, con l’omicidio di Padre Puglisi. E’ così che le forze dell’ordine si mettono sulle tracce di Spataro attraverso un servizio di intercettazioni telefoniche. La mattina del 26 gennaio 1994 accade qualcosa di insolito: Spataro non si reca al lavoro. I carabinieri, allora, decidono di attivare subito un servizio di pedinamento. Sono convinti che quell’assenza possa nascondere un interesse diverso di Spataro. Forse un viaggio. E così, in effetti, avviene. Spataro, insieme alla famiglia, si dirige verso la stazione di Palermo. Tutti insieme salgono a bordo di un treno. Gli investigatori comprendono dalle telefonate che la destinazione è Milano. Sarà proprio Salvatore Spataro a riferire poi ai magistrati che quel viaggio a Milano gli viene proposto dal cognato Giuseppe D’Agostino, in quanto questi deve accompagnare il figlio a fare un provino calcistico. L’intuizione degli investigatori è fondamentale per approntare un ulteriore servizio di controllo. I frutti arrivano ben presto: il 27 gennaio 1994, proprio mentre nei televisori di tutta Italia iniziano ad andare in onda gli spot della discesa in campo di Silvio Berlusconi in politica con Forza Italia, i carabinieri agganciano Giuseppe Graviano a Milano, intorno alle tre del pomeriggio. Inizia un lungo pedinamento a piedi, anche quando il boss sanguinario di Cosa Nostra si addentra in mezzo alla folla con la compagna ed altre due famiglie del Sud.
Cinque ore di pedinamento continuo, fino a quando Graviano non giunge nel ristorante “Gigi il cacciatore”. I militari decidono: è il momento di entrare in azione. Il boss viene arrestato assieme ad altre persone, tra cui una che ha un documento intestato a Filippo Mango… Non è la prima volta che Graviano e la famiglia si recano da “Gigi il cacciatore”. Il titolare del locale ed un cameriere li notano in altre occasioni, due tre settimane prima di Natale, confermando una latitanza in terra meneghina da almeno un mese. Prima di mangiare, fanno tutti il segno della croce. E questo attira l’attenzione dei presenti…”.
“Per poter vivere, devi essere disposto a morire” ha detto il giocatore di poker Amir Vahedi.
“A poker non giochi con le carte che hai in mano, ma con la persona che hai di fronte”, James Bond Daniel Craig, Casinò Royale 2006.
Raul Gardini e Silvio Berlusconi. A fare la differenza è una Walther PPK.
L’errore che fa il giocatore d’azzardo è di elevare il principio di casualità al “punto di equilibrio”; la casualità non è la realtà, ma è parte della realtà. Ma non resta che perdere in grande. Proprio interiorizzando la roulette del caso come dono e dannazione, nella rinunzia alla fede nell’autos
nomos e nella sottomissione al verdetto del destino quale “arbiter emergentiarum”.
Nel 1994, il faccendiere sardo che accompagnò Roberto Calvi al Chelsea Cloister a Londra, e poi nell’imbarcazione fino al Blackfriars Bridge interrompendo i suoi investimenti in Olbia 2 (non potendo dire di no a Pippo Calò), disse malinconico davanti al magistrato Otello Lupacchini che lo interrogava; c’era un televisore acceso nello studio del grande accusatore della feroce Banda della Magliana: “Avrei potuto avere il suo successo”.
Ma non è forse vero che il successo è l’altra faccia del fallimento?
Cosa ci insegna il mito di Icaro?
Su Wikipedia è scritto: “Il mito insegna che bisogna essere rispettosi della Natura (il sole sciolse la cera), della voce del padre e dei propri limiti. Un antico proverbio dice che chi va piano va sano e va lontano; in parte è vero forse non per ogni cosa, non per tutto.”
Tuttavia merita rispetto chi si consegna, per servitù volontaria, alla sentenza del caso. Un film già scritto.
di Alexander Bush