Come leggere due suicidi apparentemente così diversi?
Due attacchi di panico “immunologico-isterici”– la paura del cambiamento li connota sempre – hanno sconvolto le esistenze di due persone intelligentissime trovatesi a regolare i conti con essi: lo psicanalista lacaniano Massimo Recalcati e il finanziere Michele Sindona.
Il teorema di Jacques Lacan– se applicato al caso Sindona-Ambrosoli – ci consente di capire che cos’è il narcisismo patologico, e come se ne guarisce o se ne muore. In particolare nei “Ritratti del desiderio” Recalcati descrive il suo attacco di panico che lo mise davanti al concetto di castrazione secondo Jacques Lacan, fornendoci uno strumento prezioso per comprendere il fallimento disastroso di Michele Sindona di fronte all’“eroe borghese” Giorgio Ambrosoli.
Nel paese senza memoria dove il metodo Sindona basato sulla magia imbrogliona del “capitalismo senza capitali”è stato superato e perfezionato dalla schizofrenica Fininvest del Biscione – liberista a parole e nei fatti a “scatole cinesi”in una miriade di holdings intestate a parrucchieri e casalinghe – il punto di cruciale importanza è che sia Recalcati che Sindona sono entrati nella loro vita in una grave crisi di panico, di fronte alla quale il primo ha reagito in maniera diametralmente opposta al secondo.
Massimo Recalcati si trovava all’Università La Normale di Pisa, e il finanziere di Patti all’Hotel Pierre di New York in un colloquio informale con il capo di Mediobanca Enrico Cuccia. Sindona aveva detto: “Per colpa della persecuzione del comunista Giorgio Ambrosoli sono diventato anoressico, e non riesco più a dormire!”.
Di contro Recalcati nell’estate del 1985 (quando Sindona era già in carcere e un anno dopo si sarebbe suicidato in una simulazione mal riuscita di suicidio con un caffè eccessivamente corretto al cianuro), sapeva benissimo con “psico-Realpolitik” che i suoi sintomi gridavano una verità che esigeva di essere ascoltata. E’ chiaro, sono atteggiamenti da non confondere: quello del rivoluzionario nevrotico sempre uguale a se stesso, e l’altro del “nevrotico egosintonico” già in parte guarito.
Partiamo da Recalcati per arrivare a Sindona, i due accomunati dal rifiuto superegoico del Cambiamento.
Recalcati: “Il mio incontro con Lacan. Voglio seguire alla lettera la domanda che ci siamo posti: cosa significa essere lacaniani oggi? Per me, Lacan è stato un vero incontro, una tyche. Qualcosa che ha rotto, alterato, smosso il sonno routinario dell’automaton. Qual era allora, al tempo del mio incontro con Lacan, l’automaton che governava la mia vita? Era l’automaton del discorso universitario entro il quale mi ero immerso. Ero stato fabbricato per diventare un professore di filosofia. Avevo avuto i migliori maestri. Avevo la passione per il sapere e un talento sufficiente. Insomma tutto era stato predisposto perché prendessi la via della carriera universitaria. Lacan per me è stato innanzitutto l’incontro che ha interrotto il sonno del discorso universitario e la mia carriera di filosofo”. “Nell’estate che avrebbe dovuto precedere la mia partenza per svolgere un dottorato in filosofia presso la Normale di Pisa e l’Università di Francoforte incontrai qualcosa che non trovava posto nel discorso universitario: l’evidenza scabrosa della mia nevrosi e della mia angoscia. Fu un incontro che non mi lasciò scampo. I miei sintomi gridavano una verità che esigeva di essere ascoltata. In quella stessa contingenza temporale incontrai il testo di Lacan. Eravamo nell’estate del 1985, subito dopo la discussione della mia prima tesi di laurea. Anche quel testo, come la mia angoscia, non trovava posto nel discorso universitario. Una strana analogia univa i miei sintomi, ai miei occhi indecifrabili, al carattere cifrato degli Ecrits di Lacan: non ci capivo niente! Scoprii solo più tardi che ero di fronte al cuore del metodo di Lacan: lo stile esoterico del suo insegnamento – la sua “tortuosità” come egli stesso la definì – mirava ad assomigliare all’oggetto verso il quale esso si indirizzava e cioè al soggetto dell’inconscio”.
Quel che Sindona psicoticamente rifiutò di capire è che Ambrosoli lo avvicinava proprio al suo Es… Conclude Recalcati: “Ero dunque in quell’estate del 1985 preso tra due mura. Da una parte il muro dei miei sintomi depressivi e dall’altra il muro del testo di Lacan. Il mio transfert su quel testo era animato dalla sofferenza che mi provocavano quei sintomi. Ma queste mura – entrambe queste mura – mi apparivano anche come delle porte. Il mio transfert sul testo di Lacan veniva promosso dai miei sintomi: là, in quel testo indecifrabile, c’era qualcuno – un soggetto supposto sapere – che io ritenevo capace di leggere la loro lingua straniera. La filosofia lasciava il posto a un nuovo cammino. Non mi sarei ritratto di fronte alla sfida dell’angoscia, di fronte a quello “smarrimento assoluto”, come si esprimeva Lacan stesso nel Seminario X…”: l’incontro con l’Universo.
Esso fu rifiutato invece dal finanziere di Patti, innamorato di se stesso al punto da rifiutare l’implosione del proprio Grande Inganno nella Banca Privata Italiana (l’altra faccia del successo borderline della Fininvest-Edilnord). “Io” sono liberista a parole quando in realtà ho costruito un cartello di “holdings fantasma” edificate sul Niente, o sul mio “desiderio straniero” svincolato dall’Ego. Ma il rifiuto netto e categorico di “…un’altra Legge rispetto a quella censoria e persecutoria del Super-io”– come prova la confessione a Enrico Cuccia: “Sono diventato anoressico a causa della persecuzione comunista della Banca d’Italia, e mi capita talvolta di piangere”– anima tormentosamente l’inferno della “colpevolezza nevrotica”, fino a sfociare in due risposte negazioniste del cambiamento. La violenza dell’omicidio, e il suicidio (sic!). Ambrosoli venne “ammazzato” da Sindona perché in realtà Sindona aveva ammazzato se stesso, rifiutando di dare ascolto alla “colpevolezza panica” dei sintomi che lo animava. Come Recalcati, per una storia completamente diversa, era preso tra due mura. L’illuminazione dell’“eroe borghese” o il “cedimento isterico sul Desiderio” di rimanere sempre uguali a stessi. Scelse il suicidio.
Alexander Bush