La situazione politica siriana sta diventando paradossale.
Da un canto abbiamo un governo sostanzialmente laico, anche se il Presidente de-ve essere un musulmano, tradizionalmente alleato della Russia e della Cina ma che, ciò nonostante, ha partecipato all’alleanza multinazionale contro Saddam, nell’operazione De-sert Schield.
Dall’altro, abbiamo il mondo occidentale, diviso in correnti di pensiero diverse.
L’Unione europea che, politicamente, non esiste, è interessata solo alla stabilizza-zione di un’area molto sensibile per gli interessi strategici israeliani e per le ripercussioni che possono esercitare su Paesi come l’Arabia Saudita, i Paesi del Golfo, l’Egitto e sull’instabile equilibrio politico del Libano.
In più, il problema dell’eventuale passaggio di gasdotti e di oleodotti attraverso il ter-ritorio siriano costituisce fonte di gravi preoccupazioni per il rifornimento energetico di tutta l’area occidentale.
Gli Stati Uniti, che temono una deriva islamica e, potenzialmente terroristica, in Si-ria, che coinvolgerebbe anche Israele, con conseguenze facilmente immaginabili, sono ri-luttanti ad assumere una qualunque iniziativa diretta.
Le esperienze di politica estera interventista degli Stati Uniti, dopo la fine della 2° guerra mondiale, sono state tutte assolutamente disastrose: Corea, Vietnam, Somalia, Iraq, Afghanistan, dove hanno impegnato miliardi di dollari ed avuto migliaia di morti senza alcun risultato apprezzabile.
Inizialmente, l’idea di abbattere il regime dittatoriale di Bashar Assad e di sostituirvi una democrazia di tipo occidentale ha smosso simpatie nei confronti di coloro che, nelle piazze siriane, sull’onda della primavera araba, manifestavano contro il regime. Poi, a questi interessi astratti, si sono sostituiti interessi più concreti, derivanti dalla necessità di salvaguardare i diritti umani della popolazione civile, angariate dagli uni e dagli altri, un tema che si “vendeva” bene sul piano internazionale.
Ma la rivolta contro Bashar è stata un polo d’attrazione per tutto il terrorismo inter-nazionale, per gli integralisti islamici (sunniti), finanziati da alcuni Paesi del Golfo, per i Sa-lafiti e per gli eredi di Al Qaeda.
La mossa d’inviare la flotta americana nelle acque siriane è stata bloccata dalla flot-ta russa di fronte ai porti siriani, determinando una situazione di stallo che si é poi sblocca-ta con la questione delle armi chimiche siriane ed il conseguente faticoso accordo russo – americano per la loro eliminazione.
Infine, il mondo arabo, in prevalenza sunnita, non ama Bashar, che è un alawita. Ma, al contrario di quel che si potrebbe pensare, Iran ed Iraq, sciita il primo e prevalente-mente sunnita il secondo, sono suoi alleati.
Il pasticcio siriano sta diventando inestricabile ed i giochi delle grandi potenze sem-pre più raffinati al punto da essere contraddittori fra loro.
In sostanza, l’America è dalla parte dei terroristi islamici contro la Siria governativa, appoggiata da Iran ed Iraq (che dovrebbe essere una creatura americana).
La Russia appoggia Bashar che combatte gli integralisti islamici che, altrove (nel deserto algerino), sono finanziati da Russia e Cina. D’altro canto, Mosca ha avuto il suo da fare con gli stessi integralisti in Cecenia.
Israele, tradizionale nemico della Siria, ha interesse a che il regime di Bashar, cui ha sottratto le alture del Golan, tenga, perché teme l’integralismo islamico alla sua frontie-ra settentrionale e l’influenza degli Hetzbollah siro-libanesi, con i quali è sempre in guerra ,e che appoggiano gli insorti siriani.
In mezzo a tutto questo sta il popolo siriano, oggetto passivo di attentati, di stragi, di esecuzioni sommarie, di bombardamenti e di saccheggi. Su circa 26 milioni di abitanti, al-meno la metà è coinvolta nel conflitto e circa dieci milioni sono giovani al di sotto dei 15 anni.
Quattro milioni di persone sono profughi che affollano i campi, distribuiti tra Libano, Turchia e Giordania. 5,5 milioni di bambini, il 56% di tutti i bambini siriani, avrebbe bisogno di assistenza sanitaria. Oltre 10.000 di loro sono morti nel conflitto, poca cosa rispetto ai 150.000 adulti che hanno già perso la vita nella guerra civile siriana. 8.000 bambini sono profughi senza genitori. Circa 3 milioni, il 40% di quelli in età scolare, non vanno a scuola, e quasi 5.000 scuole sono state distrutte.
Un milione di bambini è senza cibo ed acqua, intrappolato nelle zone dove si com-batte, denuncia l’UNICEF
Questo è il quadro. La tragedia siriana è forse la maggiore dopo il 2° dopoguerra.
Fuggono dalle loro case distrutte, dalle loro radici millenarie, da un mondo pervaso dalla ferocia e dagli odi che solo una guerra civile, che si tramuta spesso in guerra di reli-gione, può suscitare.
Come ridisegnare il futuro d’un Paese insanguinato e così duramente colpito nelle sue generazioni future?
Ma di Siria, ora, non si parla più. L’attenzione del mondo politico si è spostata in Crimea. La tragedia siriana può consumarsi nel silenzio del mondo.
Stelio Venceslai