una guerra che l’Isis sta vincendo è sicuramente quella mediatica
I bilanci di guerra sono sempre spaventosi, ma quello della guerra in Siria (e Kurdistan e Iraq) lo è ancora di più. Un conflitto anomalo dove dopo pochi mesi dall’inizio del conflitto si è persa quella minima concezione ideologica di “buoni” e “cattivi” – sempre che ci sia mai stata -, dove si fa fatica a distinguere nemici da alleati. Una guerra che ha contribuito a generare e rafforzare un nuova concezione statale, lo Stato Islamico dell’Iraq e della Grande Siria (ossia Stato Islamico dell’Iraq e al-Sham, ISIS,) ma anche ribattezzato califfato o Stato Islamico dell’Iraq e del Levante (ISIL).
Una guerra che l’Occidente da anni considera un conflitto regionale, ma quello che accade tra Iraq e Siria è un conflitto ampio, che coinvolge Occidente, Russia, Turchia, Iran e mondo Islamico
È di quasi 6.000 morti, di cui 250 minori, il bilancio parziale dell’Osservatorio nazionale per i diritti umani in Siria (Ondus) delle violenze solo ad ottobre. Tra le 5.772 vittime, 1.064 sono civili e tra questi 251 sono minori e 112 sono donne. La maggioranza dei morti sono militari e miliziani. Negli ultimi tre giorni peraltro sono stati uccisi cento jihadisti dell’Isis nei combattimenti contro le forze curde nella città siriana di Kobane e nei suoi dintorni. Lo riferisce lo stesso Osservatorio precisando che tra i 100 jihadisti uccisi figurano anche agenti della polizia dello Stato islamico (hisba) venuti dalle regioni di Aleppo e Raqqa per sostenere l’assedio dell’Isis a Kobane. I miliziani sono morti sia negli scontri con le milizie curde sia nei raid della Coalizione guidata dagli Usa. Raid che tuttavia si dimostrano utili a indebolire l’avanzata militare dell’Isis ma a non a sconfiggerlo. I due Stati delegati a sconfiggere l’Isis, Siria e Iraq (a cui si aggiunge l’esercito e l’embrione di Stato curdo), sono ancora troppo deboli e nel caso irakeno esercito e popolo non sono profondamente coesi nella causa “nazionale” contro lo Stato Islamico.
Altro fronte che per ora l’Isis sta vincendo è quello della guerra mediatica. Una macchina propagandistica senza precedenti per un movimento terroristico, che è stata capace di attirare alla causa del califfato 3 mila foreign fighters europei (dei 15mila totali stimati dall’Onu). Un progetto comunicativo rivolto ai “fedeli”, ai membri di altri gruppi terroristici ma anche, e soprattutto, al mondo non musulmano. Al-Hayat, Asawirti Media, Al-Furqan Media, Fursan Al-Balagh Media, Al-Ghuraba Media e al-Malahem Media sono alcune delle diverse case di produzione che sfornano video di propaganda con montaggi talmente curati da farli sembrare delle clip hollywoodiane o dei videogiochi di guerra: la Call of Duty jihad secondo Gianni Rosini per il FattoQuotidiano.
Le numerose case di produzione collegate all’Isis studiano nei dettagli i propri messaggi e adattano forma e contenuti al pubblico specifico a cui vogliono rivolgersi. I jihadisti, poi, puntano molto sull’efficacia e la diffusione del messaggio, tanto che Al-Hayat ha messo a disposizione il proprio archivio, dove si possono trovare tutti i video prodotti e i magazine realizzati.
Gilbert du Motier de La Fayette