Spending review, sotto a chi tocca

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Dura la vita per commissari e consulenti alla spending review. Se ne va anche il bocconiano Perotti, il quale, dopo ponderati studi sugli sprechi e sulla spesa dello Stato, su cosa, come e dove tagliare, realizza che è meglio tagliare la corda, dimettendosi in diretta televisiva.

Perché quelli della spending sono fili ad alta tensione, chi accetta una carica del genere realizza presto quant’è mortale: Giarda che voleva 80 mld di tagli subito e altri 300 sul lungo periodo, le stagioni di Bondi e di Canzio, fino al caso Cottarelli, da funzionario dell’FMI a guru di Palazzo Chigi che prima critica la maggioranza sulle coperture di spesa e poi se ne torna a Washington “per motivi personali”.

Del resto non ci riuscì Monti ad aggredire la spesa, che pure non aveva problemi di consenso (almeno finché il Senatore non decise di seguire le sue ambizioni politiche), non ci riesce Renzi, che nella trincea della spending ha ancora al suo fianco l’ex McKinsey Gutgeld, anche se quest’ultimo, eletto nel Pd, risponde a delle logiche più interne alla politica e ai partiti. Le stesse che evidentemente spingono i “tecnici” a fare le valigie.

Sia chiaro, non siamo iscritti al partito gufo. Dai tempi di Monti, passando per Letta fino ad arrivare a Renzi, la spesa pubblica è rallentata. Gli spread non sono più motivo di angoscia per la nostra giornata e il ministro Padoan oggi in Europa può rivendicare margini di flessibilità, usando qualche parola di conforto anche per il vero mattonazzo della nostra finanza pubblica, il debito in termini assoluti.

Ma detto questo, senza la spending, senza tagli nelle PA dove snidare sprechi e inefficienze, senza uno scatto di reni sulla riforma delle partecipate di Comuni e Regioni, e più in generale una riflessione profonda sulla presenza, ingombrante, dello Stato nella società italiana, per non dire del fallimento del Titolo V, probabilmente continueremo a vedere una sfilata di tecnici, consulenti e commissari che marciano sicuri di sé in passerella e poi se ne vanno o si dimettono sul più bello.

Il presidente del consiglio Renzi sa che stiamo parlando di misure impopolari, che non portano consenso prima delle elezioni, per questo nicchia o non affonda come dovrebbe, pensando al suo stile. Puntare alla riduzione delle tasse, in particolare quelle sulla casa, va bene, siamo tutti d’accordo, ma ridurre le tasse senza ridurre la spesa, il rischio di una manovra in espansione, il trovare coperture “a sbalzi” rimandando i pagherò al domani, è la vera ragione della depressione dei suoi consulenti.

Forse il Governo farà qualcosa dopo i prossimi e importanti appuntamenti elettorali a livello locale, forse qualcuno dopo Renzi alzerà di nuovo le tasse o sarà Renzi stesso a trovare altre ricette, ma una cosa è certa, i conti devono tornare, a Roma come a Bruxelles. Intanto aspettiamo un nuovo asso nella manica, l’ennesimo curriculum di platino, il tecnico dei tecnici che ci venga a dire secondo lui come si fa ad avere uno Stato più leggero, imprenditore e che funzioni meglio.

Roberto Santoro
Da “L’Occidentale” del 10 Novembre 2015

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