Dalla vicenda Toti appaiono ogni tanto particolari interessanti.
Uno di questi è il rapporto tra Spinelli, l’imprenditore portuale e il fondo inglese Icon, suo socio in una delle tante attività.
Spinelli un giorno chiese al fondo di versare una somma al fondo elettorale di Toti con la giustificazione (lecita) di contributo registrato e la direttrice si rifiutò asserendo che per loro sarebbe stata comunque corruzione.
Sono due forme antitetiche di capitalismo:
da una parte il capitalismo “all’italiana”, arrembante, o meglio ruspante, che fa del rapporto con la politica un elemento fondamentale della propria attività imprenditoriale: importa non solo essere competitivi sul mercato, saper offrire il miglior prodotto, organizzare al meglio i mezzi di produzione, ma soprattutto avere i rapporti “giusti” con il politico “giusto”. Spinelli ne è un esponente peculiare: nato dal nulla, senza istruzione, ha costruito un impero miliardario senza farsi scrupoli di corrompere chi di dovere
Dall’altra parte un capitalismo, quello dei fondi anglosassoni, senza dubbio più algido e impersonale, molto attento alle regole di comportamento e ai rapporti con la politica.
Senza dubbio sotto tanti aspetti si potrebbe preferire uno Spinelli che probabilmente si fa molti più scrupoli a licenziare i propri dipendenti, che è sempre pronto a aiutare e che riesce a far funzionare le proprie ditte in un sistema caotico come quello italiano; ma non si può negare l’abissale differenza di comportamento rispetto alla politica.
Parlare in questi casi di libero mercato, di concorrenza, di mercato trasparente è pura teoria: la realtà è purtroppo un’altra e non accenna a cambiare.
E poi ci chiediamo perché le imprese straniere siano così restie a investire in Italia?
Trovare una soluzione è forse impossibile perché certi atteggiamenti sono insiti nella nostra storia e nella nostra cultura, ma semplificare la giungla di leggi e regolamenti che rende poco trasparente il rapporto tra impresa e politica, reintrodurre il finanziamento pubblico ai partiti (perché no, almeno sarebbe trasparente e non sottobanco come ora), ridurre il numero e le dimensioni delle imprese “in housing” (cioè quelle imprese che sono di proprietà degli enti pubblici e lavorano solo per loro) forse ridurrebbe il fenomeno.
di Angelo Gazzaniga