“In questi giorni si sono svolti due summit internazionali, il G7, cioè il vertice dei sette paesi
economicamente più potenti tra le democrazie di stampo occidentale, e la Lega Araba. La Lega
Araba riammettendo il dittatore siriano Assad ha fatto una mossa che è difficile interpretare se
non come di esplicito allontanamento dall’occidente, e di avvicinamento a Russia e Cina…”.
“Russia e Cina, asse anti-Occidente con la Lega Araba”, Peppino Ortoleva “Il Secolo XIX”
Ci sono gli echi di Oswald Spengler nell’analisi elegante di Corrado Augias per Il Venerdì de “la Repubblica” del 19 maggio 2023 “Quando l’idea di destra e sinistra entrò in crisi” nella sua rubrica “La mia Babele”, e che – curiosamente – accumuna Augias e la politologa Nadia Urbinati a Zbgnew Brezinsky e Robert Mac Namara: proprio loro, i guardiani di Platone che stesero il “Rapporto sulla governabilità” redatto dalla Commissione Trilaterale (era il 1975, passati due anni dalla crisi del Kippur). E questo, è un po’ sconfortante a dire il vero.
Oggettivamente, si può fare poco per prevenire l’implosione dell’Europa che è stata “fotografata” dal misantropo Oswald Spengler cento anni fa: il tramonto della civiltà occidentale, una visione organicista divulgata al popolo da Piero Ottone nel 1994 con il suo master piece “Il tramonto della nostra civiltà” edito da Mondadori. Se è fondata la tesi di Spengler, che ebbe un lunghissimo incontro con Adolf Hitler (sic!), sulla decadenza organicistica della civiltà occidentale, oggi – a distanza di un secolo – l’Occidente non tiene. E’ come il Titanic che imbarca acqua: un assetto sociale, politico e istituzionale consumato non rimediabilmente dalle proprie contraddizioni. Il quadro emerso sullo sfondo del “Memorandum Kyoto”, con la prefazione di Gianni Agnelli – l’ideologo della tecnocrazia al potere, insieme a Mac Namara e a Kissinger (mentre in Italia c’era la P2 di Licio Gelli, con il Piano di Rinascita Democratica) che era “eziologicamente” legato alla crisi energetica, vede un’accelerazione forte della crisi dagli anni Settanta fino ai giorni nostri: Ucraina e crisi energetica, con il possibile “casus belli” a Taiwan tra Stati Uniti e Cina+terrorismo batteriologico. E la possibile comparsa del cesarismo antidemocratico negli Usa, che nel ’32 avevano l’alternativa di Roosevelt a Herbert Hoover, e oggi hanno l’alternativa di Trump a Biden. Cioè il “cavallo di Troia” di Vladimir Putin in America (roba da guerra civile).
Le democrazie occidentali non sembrano fornire risposte adeguate all’aggravamento quotidiano del quadro, mentre in Francia c’è la guerra civile, e l’Inghilterra è sull’orlo della bancarotta e il 1 giugno gli Stati Uniti dichiareranno formalmente bancarotta; ma non credo che sarà un “default controllato” di cui parla Jannet Yellen, capo del Dipartimento del Tesoro.
Scrive Augias, con lo scetticismo “poco democratico” di Brezinsky; surreale, ma vero (sic!): “L’editrice Ronzelli ripubblica, nel trentennale della sua prima uscita, il breve e denso saggio di Norberto Bobbio (1909-2004) Destra e sinistra. Queste pagine uscirono per la prima volta nel 1994, un anno che a distanza di così tanto tempo possiamo considerare fondamentale. In Italia si stava aprendo l’era Berlusconi: soprattutto stava collassando, a seguito dell’inchiesta Tangentopoli, il sistema dei partiti sulla quale (sul quale, rectius, ndr) s’era retta la nostra Repubblica. C’è di più: entrava in crisi, non solo in Italia, quello Stato sociale costruito in Europa nel dopoguerra grazie al quale erano stati raggiunti risultati senza precedenti. Al di là delle vicende interne al nostro Paese, era un’idea di democrazia che sembrava aver toccato il suo limite.”
La crisi dell’iper-democrazia, caro Augias.
Ma viene da chiedersi: i diritti surclassavano i doveri?
Parrebbe proprio di sì, a vedere il film “Tutti i soldi del mondo” sul rapimento di Paul Getty, annus horribilis 1973: l’austerity energetica come sfondo al sequestro del nipote del magnate. E i figli e nipoti dei “Vip” che giravano in Lamborghini, mentre Yamani lanciava i suoi anatemi contro
l’Occidente corrotto e sfruttatore. Ma aver rigettato la rivoluzionaria “fifty-fifty” di Enrico Mattei è stato un tragico errore delle Sette Sorelle: la decadenza del capitalismo americano.
La middle class tarlata dalla mondializzazione dello stupefacente perdeva il suo èlan vital; si veda in proposito il film elegantissimo “Lucky Luciano – Il padrino americano” di Francesco Rosi.
A un certo punto Salvatore Lucania, intervistato dai giornalisti a Napoli, dice: “A noi gli stupefacenti – come li chiamate voi – ce li chiedevano, e noi (gangsters, ndr) svolgevamo un’attività socialmente utile”: non è questa la “smoking gun” del tramonto dell’Occidente?
Continuava Augias: “Nella sua brillante e lucida prefazione (che arricchisce la riedizione), Nadia Urbinati ricorda il famoso Rapporto sulla governabilità redatto dalla Commissione Trilaterale (1975), dove era scritto che la democrazia era entrata in crisi a causa dei suoi stessi eccessi: troppa attenzione alle diseguaglianze, insufficiente attenzione alla libertà degli individui. Il rapporto insomma attribuiva la “crisi di governabilità” all’incapacità delle istituzioni politiche di resistere alle pressioni dei cittadini organizzati, dei partiti, dei sindacati. L’idea stessa di destra e sinistra sembrava entrata in crisi. Questo fu lo stimolo che spinse Bobbio a scrivere queste pagine destinate ad avere immensa fortuna non solo in Italia. Si trattava di comprendere, scrive Urbinati, le identità ideologiche e ideali di destra e sinistra, anche attraverso le loro trasformazioni storiche. La destra statalista e corporativa, per esempio, aveva venato di socialità anche il nazifascismo; la “nuova” destra invece riproponeva valori liberali a scapito della socialità.
Su questo discrimine ha meditato il filosofo dimostrando come il binomio Libertà-Uguaglianza, proclamato nel 1789, s’era spezzato per dare vita a due concezioni antitetiche, quella della Libertà contro quella dell’Uguaglianza.”
Orbene, è in questo contesto che nascevano – precisamente nel 1979 (due secoli dopo la Rivoluzione francese) le fondazioni della Opening Society di George Soros: è la crisi dell’Illuminismo, con dieci anni di anticipo rispetto alla caduta del Muro di Berlino; ed è figlia della débacle della filosofia dei Lumi la teoria della riflessività, che pone l’individuo al centro della società attraverso il mercato. Cioè l’autodeterminazione.
Si può prevenire il crollo della società occidentale? No, non credo che sia possibile: siamo “organicamente” giunti alla fine di un ciclo storico, e l’interpretazione spengleriana respinge in quanto tale il determinismo; non resterebbe che comportarsi come i violinisti del Titanic: continuavano a suonare fino alla morte. Ottone era pessimista, come aveva ben capito Anna Maria Crespi e fu spengleriano dai 18 anni fino allo spegnimento, rientrando nella categoria del depresso clinico. Ma oggi, le sue posizioni meritano di essere rivisitate; in un senso del tutto particolare: la teoria della decadenza della civiltà non è valida intrinsecamente, ma è valida genericamente, considerando la riflessività dei fenomeni umani. Spengler è compatibile con Keynes. La decadenza è compatibile con lo spirito determinista.
Le democrazie occidentali sono alla vigilia di cambiamenti profondi ancorchè nella dicotomia tra Lux et Tenebrys, dove lo Stato deve farsi carico dei cittadini allo scopo di prevenire una “crisi di rigetto”, che metterebbe in discussione la tripartizione di Montesquieu.
Da una parte un nuovo New Deal, dall’altra il rischio di una rivoluzione. Tutta l’Europa è sospesa tra successo e fallimento. L’apertura “reaganiana” di Emmanuel Macron a Elon Musk con tanto di finanziamenti dello Stato, di cui parla Anais Ginori, è un fatto positivo se inserito all’interno di politiche keynesiane, ma agire unilateralmente dal lato dell’offerta significa portare la Francia alla rovina; tuttavia l’inquilino dell’Eliseo non se rende conto.
Per esempio, nel numero favoloso di “Affari e Finanza” del 22.05.2023 “La Germania si è fermata”, leggo nel dossier di Antonello Guerrera “Brexit and the City”. L’inflazione non dà tregua, a pagare sono i più poveri.”: “Dio ci salvi dall’inflazione. Una piaga per tutti, certo, ma nel Regno Unito si fa sentire più che in altri Paesi europei, soprattutto sugli alimenti, per varie ragioni che vanno dalla forte esposizione all’import fino alle complicanze generate dalla Brexit. Il governo e Bank of England avevano detto l’anno scorso che da aprile 2023 ci sarebbe stata una tregua, ma non è così. Alcuni prodotti nei supermercati britannici sono addirittura raddoppiati come costo nel giro di un anno, come ha notato l’associazione dei consumatori “Which?”. Per esempio, ai supermarket
Morrisons, un pacco di quattro cipolle è salito in 12 mesi da 65 pence a 1,24 sterline a 2,42.
Questi sono casi estremi, ma il resto non è molto promettente, anzi. Il costo degli alimenti oltremanica è salito in media del 20% nell’ultimo anno, rispetto all’inflazione generale ora al 10,1% e che non riesce a scendere a singola cifra. Anche per questo la Banca d’Inghilterra la settimana scorsa ha alzato per la dodicesima volta consecutiva i tassi di interesse di un quarto di punto, per arrivare a 4,25%, il tetto più alto dal 2009.
Tanto che il vecchio obiettivo dell’inflazione al 3,25% entro l’ultimo trimestre del 2023 è stato aggiornato a “non meno del 5%”. “A pagare saranno ancora una volta i più poveri” come la spesa per gli alimenti impatterà le famiglie più della crisi energetica: 28 miliardi di sterline complessivi per la prima e 25 miliardi invece per le bollette. Per questo, “il 10% più povero dei britannici soffre un’inflazione effettiva superiore del 50% rispetto al 10% dei britannici più ricchi”. Solo qualche settimana fa, il capo economista di Bank of England, Huw Pill, aveva detto che “i britannici devono abituarsi a essere più poveri”. Forse soprattutto i britannici già poveri”.
Attenzione, se si deve rispettare l’ortodossia il capo di Bank of England ha tecnicamente ragione.
Questa battuta ricorda – nell’“eterno ritorno dell’uguale” – la sortita infelice di Maria Antonietta: “Non hanno pane? Date loro brioches!”; se lo Stato inglese non fa spesa in disavanzo – proprio atteso che non ci sono soldi! – la gente morirà di fame. La sostanza della Teoria Generale dell’Occupazione è semplice.
E’ allora auspicabile un’ascesa del Partito Laburista, che l’Establishment britannico è in grado di esprimere: gli inglesi hanno il senso dello Stato nei momenti di crisi; l’Italia no. Eppure, il Belpaese ancorchè tra le sue contraddizioni sta diventando un laboratorio per la sperimentazione di un nuovo corso tra capitale e lavoro: siamo spaccati tra modernità e arretratezza, e le spinte positive potranno prevalere su quelle negative, mentre il Pnrr diventa un “case study”.
Scrive Walter Galbiati nel suo dossier “Il ruolo del Welfare, pubblico e privato tra lavoro e benessere”, e ci sono i fantasmi di Keynes+Spengler: “Siamo passati attraverso una crisi energetica che ha messo a dura prova le famiglie e le aziende, e un’inflazione che ha toccato i record storici, i cui strascichi continuano a farsi sentire. In uno scenario difficile, il lavoro non è mai stato tra i dati peggiori, ma le retribuzioni, almeno in Italia, non hanno seguito l’andamento dei prezzi. Con l’aggravio che tutti abbiamo vissuto una pandemia, che ha dettato nuove coordinate temporali, definendo gli anni in prima e dopo il Covid.
E’ in questo contesto che il Welfare, pubblico e privato, deve guidare un ruolo fondamentale. Il tema sarà al centro dell’evento A e F Live che si svolgerà lunedì 29 maggio, presso la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli a Milano dal titolo “Welfare e Welbeing, a che punto siamo in Italia?”. Ad aprire i lavori sarà la psicologa, autrice e International board advisor, Anna Zanardi Cappon, che spiegherà come l’uscita definitiva dalla pandemia, sancita ufficialmente in questi giorni, ci ha lasciato un’eredità molto complessa da affrontare nella relazione fra lavoro e benessere dell’individuo. Perché il Covid ha rotto argini che non è più possibile ricostruire.”
Vedete, il ruolo degli psicologi è la dimostrazione che la civiltà occidentale è al tramonto: si indaga il movente delle azioni, come conseguenza dello spegnimento dell’èlan vital della comunità; il trionfo della figura dello psicologo – che nelle scuole non dovrebbe nemmeno entrare – è di per sé il tramonto di una civiltà, che è nella sua fase decadente.
Continuava Galbiati, nel più stimolante dossier di “Affari e Finanza” (un’intuizione di Eugenio Scalfari e Giuseppe Turani che ha accompagnato la vita di chi scrive dai banchi del liceo): “L’impegno del versante pubblico nel Welfare sarà al centro del dialogo tra il presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, e il direttore di Repubblica Maurizio Molinari, dal titolo
“L’evoluzione del Welfare e del lavoro per il futuro del Paese”.
L’Italia si sta avvicinando all’Inghilterra, e in un cammino irto di ostacoli non si può non registrare un embrione di establishment: cultura di buon governo:
“L’Istituto è sempre stato al centro del Welfare italiano e ne ha seguito le sue evoluzioni fin da quando nel 1898 si chiamava Cassa Nazionale di Previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai. E’ nel 1943 che diventa Inps e in 120 anni l’istituto ha gestito tutti i cambiamenti sociali e tecnologici necessari per costruire il Welfare che ha dato all’Italia la forza di crescere. Come il Paese, anche le aziende stanno affrontando le nuove sfide. Nel panel, intitolato “Il coraggio del Welfare”, Claudia Chiaraluce, Head of Welfare and People care di Unicredit, e Sara Ghedini, Head of Corporate Social Responsability di Rekeep, racconteranno gli sforzi che ogni giorno compiono per rendere più inclusivo il posto di lavoro. Tra le varie iniziative, Chiaraluce illustrerà il programma “Rendere visibile l’invisibile” nato nel 2022 per far conoscere le disabilità che non si vedono: in media oggi una persona su quattro ha una disabilità invisibile. Ghedini, invece, porterà l’esperienza di una società come Rekeep, attiva nel Facility management e impegnata a fornire il Welfare ai propri lavoratori che sono per il 60% donne e per il 30% stranieri…”.
La battuta finale di Walter Galbiati è degna di nota: “… il Welfare aziendale fa bene all’impresa e fa crescere il Paese, perché sono le imprese con un welfare evoluto a mostrare maggiore resilienza nei momenti difficili.”
Deficit spending vuol dire business.
Vedete, tra le macerie di Spengler resta ancora qualcosa da fare: non tutto è perduto. E non ci resta che concludere con una battuta di John Maynard Keynes: “Nel lungo periodo saremo tutti morti”.
di Alexander Bush