Al di là di ogni considerazione sull’opportunità morale ed economica di ricorrere a questi provvedimenti non si può non notare come le modalità utilizzate siano segno o di un disprezzo della logica di funzionamento dei mercati o di un dilettantismo preoccupante.
Le modalità della comunicazione: niente trattativa preliminare con le banche, niente presentazione preliminare, impatto importante sui conti delle banche, hanno prodotto una perdita in borsa di circa 9 miliardi (di cui almeno 3 in mano a risparmiatori italiani). Molto di più di quanto previsto di incassare con questa tassa. Ma gli effetti sul mercato saranno ben più ampi: quanti dubbi potrà avere un investitore estero sull’operare in un Paese che applica una tassa così pesante all’improvviso e in modo retroattivo? Come non fossero sufficienti tutte le altre remore: dalla magistratura-lumaca alla burocrazia lenta e inefficiente.
A prova di tutto ciò sta il comportamento del Ministero dell’Economia che già il giorno dopo ha sentito la necessità di ridurre l’importo massimo dell’imposizione e di porre altri paletti.
Ma ormai la frittata era fatta: quella che avrebbe potuto essere una tassa applicata in modo non molto diverso che negli altri Paesi europei era diventata una manifestazione di dirigismo populista volta più a guadagnare consenso e voti che a ottenere un vantaggio economico.
Così a fronte di un gettito previsto di 3/4 miliardi abbiamo già avuto una perdita di capitale di 9 miliardi.
Occorrono regole chiare e certe (cioè la certezza del diritto, elemento fondamentale di una democrazia), uguali per tutti e possibilmente non retroattive, non provvedimenti improvvisati e mal studiati; allora ben venga una tassazione su profitti straordinari e soprattutto dovuti a conseguenze di norme chiare e tempestive.
di Angelo Gazzaniga