Torino, il Salone di Zalone (che non fa ridere)

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A cosa servono i festival del libro?

Che i festival del libro fossero delle carnevalate dell’ipocrisia alle quali partecipano, in genere, coloro a cui piace dire che leggono libri (ma non è vero), non aveva bisogno di conferme. Ma dopo la prova offerta quest’anno dal Salone del (cosiddetto) libro di Torino spero che Renzi passi alla rottamazione non concedendo a questi neppure uno straccio di 80 euro di sponsorizzazione.
Che la cultura del libro sia stata distrutta dall’assenza di pedagogia delle famiglie e delle scuole e accolta a braccia aperte da quelle protesi del telefonino che sono i cosiddetti “millenials” non c’è dubbio e lo dicono i dati (circa 55% degli italiani non leggono nemmeno un libro, gli altri uno all’anno di media, che può essere anche quello di Cannavacciulo sulle zucchine, di Simona Ventura sull’Isola di famosi o su come abbronzare il lato B).
Va bene: chi legge e scrive autenticamente, ovvero chi ancora accorda alla scrittura saggistica o narrativa un valore di critica della cultura, sa di essere entrato a far parte di un ristretto ordine monastico, che sta chiuso nella biblioteca di un monastero mentre fuori impazza il medioevo digitale. Le civiltà arretrano, nulla di nuovo, basta leggere Vico, Volnay, Spengler…
Ma almeno, nel Medioevo, di fronte ai barbari si perdeva con onore, ci si ritirava; mica si facevano prendere per il culo monaci ed eruditi! Il cosiddetto mondo del libro di oggi, invece, ama farsi prendere per il culo. E’ sadomaso. Ad esempio, per alzare i numeri del pubblico (che è merce markettizzata) del Salone del Libro di Torino, la grande idea del 2016 è stata quella di invitare Checco Zalone, che ha generato “due ore di coda” (Ansa); un po’ come se in una discoteca ci fosse dentro Ruby, insomma. Anzi no, che dico! Ruby in discoteca fa due ore di coda ed è il suo mestiere e quello dei gestori del locale; Zalone al cinema fa il record di incassi ed è il suo mestiere e quello dei produttori. Zalone al Salone del libro, invece, è calare le braghe dopo aver perso, farsi prendere per i fondelli (è bene che il pubblico che frequenta questi saloon venga preso per i fondelli). Giustamente, Zalone va e dice: «Non leggete il libro su di me”: e giù risate generali. Se avesse detto: “non ho mai letto un libro” le risate, però, sarebbero state ancora più fragorose e più ossessivi i lanci degli uffici stampa, le riprese sui giornali, i video, i selfie…  Tutto ciò mi ricorda quegli articoli di giornale (e quei giornalisti) che si esaltavano alla chiusura delle librerie e al cosiddetto passaggio digitale. Il passaggio digitale c’è stato, ma il libro non è passato. La scrittura nemmeno. Solo Zalone.

Adam Brux

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