Espiazione della pena, recupero del condannato, diritti umani: cosa dovrebbe prevalere nel caso Riina?
La sentenza della Cassazione che “apre” ad una possibile scarcerazione di Totò Riina per motivi umanitari fa nascere alcuni interrogativi.
Pensiamo sia ormai scontato che una pena detentiva, di qualsiasi tipo e durata, debba avere due scopi fondamentali: l’espiazione della colpa e il recupero sociale e morale del condannato. Tutto questo, ovviamente, senza dimenticare quelle esigenze di rispetto dei diritti dell’uomo e di pietà che sono (o dovrebbero essere) connaturate alla nostra civiltà occidentale.
Nel caso specifico è indubbio che l’espiazione della pena, e cioè la durata della carcerazione, sia commensurata ai delitti di cui è stato riconosciuto colpevole Totò Riina: un centinaio di omicidi. In altre parole, un centinaio di persone che, grazie a lui, hanno perso definitivamente la vita. Resta il problema del recupero sociale e del pentimento. Può essere ritenuto socialmente recuperato un condannato che dal carcere continua a minacciare di morte magistrati e avversari comportandosi ancora come un capo mafioso?
Esistono poi le esigenze di rispetto dei diritti umani: ogni uomo ha diritto a essere curato al meglio, senza se e senza ma, sia esso detenuto o libero, ricco o povero.
Ricordiamo a questo proposito un piccolo episodio storico: quando Silvio Pellico si ammalò allo Spielberg, l’imperatore d’Austria mandò a curarlo il proprio medico personale; piccolo, grande esempio di civiltà.
Allora ci auguriamo che Totò Riina resti dov’è e che venga, questo sì, curato nel migliore dei modi. Questo per rispetto della certezza del diritto, di coloro che hanno perso la vita per causa sua, e di tutti quelli che restano in carcere in condizioni sovente precarie, malati e spesso ancora in attesa di giudizio, solo perché non hanno a disposizione avvocati e mezzi e non si chiamano Riina.
È un problema di civiltà, non di giustizia o di pietà.
di Angelo Gazzaniga