Una recensione di una libro di una donna doppiamente esule
Rosanna Turcinovich Giuricin è giornalista per La voce del popolo (quotidiano pubblicato a Fiume per gli italiani di Slovenia e Croazia) e La voce di Fiume (periodico degli esuli fiumani, Padova), due giornali che, con la loro doppia sede, già rivelano la lacerazione di un popolo: quello dei giuliani, dei dalmati e degli istriani. Il suo ultimo lavoro, “Maddalena ha gli occhi viola” (Trieste, Comunicarte, pp. 140, euro 18), è un romanzo-intervista basato sulla storia di Miriam (Maddalena secondo i registri scolastici della scuola ebraica di Trieste), una donna vittima di un doppio dramma: quello dell’allontanamento dalla terra che lei tuttora considera la propria patria, l’Italia, e, ad Auschwitz, quello dell’Olocausto.
Miriam oggi vive a Toronto e la sua storia si intreccia con quella dell’autrice, nata a Rovigno (oggi Croazia) e appartenente a quella stessa comunità di esuli giuliano-dalmati, che in Canada hanno ritrovato la speranza di una vita dignitosa. “La storia di Miriam” parla di ciò che in Europa ha condannato intere comunità all’inesistenza.
Per questo, il racconto della tragica vicenda di Miriam si accompagna con quello di altri esuli, in cui risuonano le stesse sensazioni, lo stesso percorso intellettuale, lo stesso collante culturale, le stesse canzoni, le stesse ricette… piccole cose di un passato comune e quasi genetico.
Trieste ha conosciuto grandi sofferenze dovute all’arrivo, subito dopo la fine della Seconda guerra mondiale, dei profughi da terre che in pochi decenni hanno conosciuto fino a cinque diverse bandiere nazionali; per questo non è facile parlare di esodo in città e quelli che sono “rimasti” nella ex-Jugoslavia sono visti con sospetto da quelli che invece decisero di partire. Tutt’ora si percepisce, tra chi non si conosce ancora, una certa diffidenza che però oggi cede ormai il passo a una necessaria pacificazione.
Sono ormai lontani gli anni della contrapposizione tra fascisti e comunisti, tra mussoliniani e titini, e la legge che nel 2004 istituì il Giorno del ricordo per commemorare le vittime delle foibe (il 10 febbraio) muove in questa direzione. In tutte le scuole, non più solo in quelle del Triveneto e dell’Istria, si studia la vicenda da una prospettiva meno emotivamente orientata.
Per l’Europa, il Novecento è stato il secolo dei conflitti e delle migrazioni; quello in corso non può che essere quello della riconciliazione. Questa almeno è la speranza di chi, come la Miriam del romanzo, ha gli occhi poeticamente viola: il colore del ricordo, che, per avere valore, deve aiutare a leggere gli eventi del presente.
Gaston Beuk