Scalfari, il giudice Spataro e il concetto di democrazia moderna
Di questo mondo sappiamo davvero poco, ognuno insegue la sua Weltanschauung più per tensione nevrotica che per calcolo razionale, e certamente Eugenio Scalfari – il Principe dei Narcisi –non è mai stato un bravo articolista. Anzi, per l’esattezza non sa scrivere (prerogativa di veramente poche persone).
E’ il giovedì 25 maggio 2016: sono partito verso l’una del pomeriggio insieme con mia madre da Chiavari per raggiungere la stazione di Roma Termini e incontrare – con l’ennesima frustrazione – una donna che ha avuto un ruolo importante nella mia vita sentimentale ma è pericolosa quanto Sharon Stone in “Basic Instinct” (solo che è mora) e si trova al centro di liaison dangereuses in Via dei Coronari da far venire i brividi alla pelle; la melanconia mi assale poiché so con quasi matematica certezza che, anche questa volta, Daniela – l’irresistibile femme fatal del ristorante “Il Ritrovo del Gusto” in Piazza Navona – mi farà soffrire con la sua anaffettività anti-sociale che tuttavia sortisce una paralizzante fascinazione nei miei confronti, e così – un po’ per ammazzare il tempo un po’ perché il giornalismo è la passione consumata di una vita – mi immergo durante il viaggio in treno nella lettura del tragicomico editoriale di Eugenio Scalfari “Giudice, non dirmi come voti” alla voce Il vetro soffiato, maestro insuperabile e insuperato nella violazione del primo comandamento di Indro Montanelli: “Un concetto per articolo”.
Orbene, Scalfari si lancia in una vera e propria pubblicità rovesciata nei confronti dell’altro Principe dei Narcisi, il pubblico ministero Armando Spataro, che ha in parte sabotato la riforma del Senato. E la sua autoreferenzialità prosopopeica è irresistibile: “Qualche giorno fa Armando Spataro, capo della Procura di Torino, ha scritto (sulla “Stampa”) un articolo dal titolo “I magistrati e il diritto di schierarsi”. Il titolo dice tutto rendendo quasi inutile (faccio per dire) la spiegazione. Ma Spataro polemizza con Vladimiro Zagrebelsky perché quest’ultimo contesta la natura costituzionalista dei magistrati e ritiene impropri i loro interventi quando toccano materie che non sono assolutamente di loro pertinenza, a meno che non prendano le opportune precauzioni e si limitino ad affermare le loro opinioni senza ricavarne effetti concreti. Per meglio chiarire il tema posto da Spataro, va detto che egli si propone di sostenere il “No” nel corso del prossimo referendum costituzionale di ottobre, voluto da Renzi. Dico subito che non sono assolutamente d’accordo con Spataro né con le precisazioni di Zagrebelsky che non affronta il merito della questione ma le sue modalità di esercizio. E veniamo al problema. Il punto di partenza risale alla nascita della democrazia moderna che storicamente risale alla prima metà del Settecento. Al pensiero illuminista e in particolare di Charles-Louis de Secondat, barone de La Brède e di Montesquieu, autore dell’opera teoricamente fondamentale intitolata “De l’Esprit des Lois”. La democrazia moderna trae origine da quel libro che criticava il potere assoluto dei re (ancora in pieno vigore a quei tempi) e fondava la libertà democratica sulla divisione dei poteri. I poteri sono tre: giurisdizionale, legislativo, esecutivo. Hanno sfere completamente distinte tra loro e rigorosamente separate. Spetta al sovrano di garantire la convivenza nel rispetto che tutti e tre debbono avere sulla base della Costituzione che il sovrano ha promulgato e del quale è garante, assicurando al tempo stesso la convivenza dei tre poteri e la loro separazione. Montesquieu non spende una sola parola sui Parlamenti… Erano tre gli Stati individuati: la Nobiltà, il Clero, il terzo Stato. Il Re li radunava e ne presiedeva i lavori con riunioni quasi sempre separate tra i vari Ordini ma solo talvolta e per il volere del sovrano potevano riunirsi insieme. Erano dunque Parlamenti molto sui generis e non certo tali da assicurare democrazia, anche perché alla fine era il re a trarne il succo e a trasferirlo in proprie ordinanze… Tutto questo peraltro ha relativamente ben poco da condividere con la tesi di Montesquieu…”. Conclude Don Eugenio: “Ho molta stima sia per Spataro sia per Zagrebelsky, ma a mio avviso la tesi del primo è completamente sbagliata…”.Alla fine dell’articolo, mi sono detto: Scalfari avrà anche fatto birignao piccolo-borghese per trent’anni, ma ciò che conta veramente non è saper scrivere bene, quanto dare un senso alla vita. Omnia vanitas et vanitas vanitatum… E Scalfari, da questo punto vista,è un vincente. Ottone dixit: “Eugenio? Salvato dall’amore verso se stesso”. Il resto non ha importanza, in un mondo dominato dal caos.
di Alexander Bush