Ci sono tre motivi altrettanto importanti per dire no al decreto “salva Roma”
- un motivo di merito: pur riconoscendo che non è possibile lasciare una città (qualsivoglia, non solo Roma) senza quei servizi pubblici che sono il motivo stesso dell’esistenza di un comune, occorre che in un provvedimento che stanzia dei fondi per risanare una situazione di fallimento conclamato vengano indicati paletti tassativi per regolamentare la messa in sicurezza dei conti: in parole povere, se non si stabiliscono vincoli e controlli per la futura gestione sono solo soldi gettati in un pozzo senza fondo…
- un motivo di struttura: leggi “omnibus” che contengono provvedimenti a favore del comune di Roma, dell’Expo di Milano, dei danneggiati del terremoto dell’Emilia e via dicendo non possono che essere un’occasione per infilare provvedimenti o norme impopolari o impresentabili, e comunque poco comprensibili: i cittadini devono essere in grado di conoscere, valutare e discutere un provvedimento già di per se complicato, figuriamoci chi può valutare un coacervo di norme su argomenti diversi
- un motivo funzionale: un decreto si dovrebbe (ai sensi della Costituzione) utilizzare in caso di comprovata urgenza. Ebbene qual è l’urgenza di un provvedimento che è stato presentato la prima volta nell’ottobre scorso; ci sarebbe stato tutto il tempo per discutere una legge in Parlamento
Una prova in più di quanto da sempre sostengono i Comitati: occorre un aggiornamento della Costituzione perché una vera democrazia ha come pilastro fondamentale la divisione dei poteri: al Parlamento il compito di legiferare, al Presidente del Consiglio quello di attuare le leggi. Attualmente invece (e il decreto “salva Roma” lo dimostra) il potere esecutivo e quello legislativo sono in pratica accentrati nel Consiglio dei Ministri, al Parlamento resta il compito di ratificare a posteriori quanto già attuato con decreto.
Angelo Gazzaniga