Per tremonti in Occidente c’è un deficit di democrazia vera: come porvi rimedio?
A pag 115 del suo libro “Uscita di sicurezza” che presto diventerà un bestseller, Giulio Tremonti sempre snobbato dai Gad Lerner con la loro sopraccigliosa burbanza da presunte “riserve indiane”, parla nel 2012 – con preveggenza da Nostradamus – del rischio di un cedimento totalitario della democrazia:“Il campo di scontro finale sarà -è-quello della democrazia. Tutti gli Stati europei sono infatti formalmente democratici, al loro interno. Ma tutti stanno perdendo vaste quote della loro originaria e propria democrazia. Per cominciare, come tutti gli Stati-nazione del mondo, anche gli Stati-nazione europei cedono quote di democrazia al mercato, che non è precisamente definibile come forma nuova, alternativa e sostitutiva della democrazia. Questo lo credono solo i fanatici. Non è così, non è corretto crederlo, se non altro per il semplice fatto che va più sul mercato soprattutto chi ha più soldi! Inoltre, a differenza degli altri Stati-nazione del mondo, gli Stati-nazione europei, passando attraverso un intenso, nuovo e tipicamente europeo processo di devoluzione verso l’alto, cedono alle istituzioni europee, alla Commissione europea, ai Consigli europei, alla Corte europea, alla Banca centrale europea eccetera quote di competenze e di poteri che invece erano storicamente oggetto di azione e controllo democratico nazionale. Le istituzioni europee, dal canto loro, non sono ancora tutte sempre e precisamente definibili in base ai parametri, ai criteri, ai modelli, ai princìpi storici tipici della democrazia classica! Diciamo qui ottimisticamente che la “cifra democratica” propria di tutte queste istituzioni pare ancora piuttosto in experimentum, piuttosto in divenire”.
Diceva John Maynard Keynes che “nel lungo periodo siamo tutti morti”. Ed in nome di questa devoluzione moralizzatrice verso l’alto alla Alexander Hamilton – il fine giustifica i mezzi a qualunque costo – sarebbe folle pensare che la incipiente tensione federalista euro-americana in experimentum al riparo dei processi elettorali è talmente “grandiosa” e tecnicamente incontestabile come progetto politico, da accettare i danni della più colossale socializzazione delle perdite dai tempi di Herbert Hoover come funzionali allo scopo! Con una gigantesca “rimozione nevrotica” della realtà che fa rivoltare nella tomba il padre della psicanalisi Sigmund Freud…In fondo il famigerato “Quantitative Easing” (immissione di liquidità dalle banche centrali agli istituti di credito) e la Nep (l’illusione della democratizzazione dello statalismo delle campagne in Russia all’epoca di Lenin), sono simmetricamente opposti: tanto il popolo capirà in seguito, nel perseguimento della meta finale indicata dal disegno di una società statalizzata senza Stato e di un libero mercato permanente che continua però a salvare lo Shadow Banking. Fanatismo nevrotico e malafede si alleano. Ed è quello che infatti precisamente sta accadendo tra la Grecia sotto scacco del nazi-socialismo di Alba Dorata e la “neosovietizzazione militare” di Putin, un ritorno alla guerra fredda! Continua l’imperdibile Tremonti:“La finanza ombra (la shadow finance), che viene detta così proprio perché è attiva fuori dalla luce di ogni giurisdizione, ha ancora un volume pari alla metà circa del volume dell’attività finanziaria regolare. Come premesso, per assicurare il presente della finanza, i governi hanno disperso i loro capitali e messo a rischio il futuro dei loro popoli”. Non è la “dittatura del presente”? Nulla di più vero. Ma perché questo succede veramente e non si fa un po’ di sana spesa pubblica in passivo? A capire la situazione tragica ci aiuta in buona parte il prof. Marcello De Cecco:“Mario Draghi è riuscito, proprio sul filo di lana, a prevenire la tempesta monetaria che sarebbe certamente scoppiata se la riunione della Bce si fosse conclusa senza il varo del Quantitative Easing”. Cioè ha accontentato i mercati in preda al nervosismo. Peccato, l’alternativa sarebbe stata il cambiamento alla Freud. Senza mettere a repentaglio il futuro dei popoli interi.
Alexander Bush