TRUMP E MUSK IGNORANO IL “PUNTO DI EQUILIBRIO”

Data:

“La ricetta dell’interesse egoistico è stata eretta a principio
universale che permea di sé tutti gli aspetti dell’esistenza”
George Soros

Oswald Spengler non è mai stato così attuale. Scrive Antonio Scurati su “la Repubblica” del 16 febbraio 2025 ne “Trump-Musk, la fondazione del mito”: “… Come già negli anni ’20 del secolo scorso, i nuovi leader abbandonano la razionalità analitica e argomentativa per narrazioni sacrali sulle origini e sul futuro del mondo…”. Senza rendersi conto che la strada era già stata tracciata da Hitler e Mussolini; la decadenza ha i colori dell’ideologia, e l’ideologia lo spessore della decadenza.

Morirà per consunzione l’Illuminismo senza luce, o i Lumières di Lucifero. La Dea Ratio è universalmente valida soltanto all’Inferno. Come ho già scritto numerose volte, ma repetita iuvant o repertorio limitato, la realtà è ambigua e complessa. Assunto, questo, completamente ignorato dalla maggioranza della gente in Italia e nel mondo. Ma non dalle fondazioni per la Società Aperta di George Soros, di cui l’erede è Mikhail Khodorkovsky. Tuttavia la rinuncia al “punto di equilibrio” è di per sé una presunzione illuminista che non è universalmente valida. Non si può riprogettare la realtà con il trucco della ragione, e se sbagliavano i guardiani dell’Illuminismo sbaglia Soros che ha all’incirca ragione avendo torto. Il punto è che se non si rinuncerà almeno in parte al “punto di equilibrio” che è il prodotto totalitario dell’Illuminismo, il mondo si sfascerà. Si sfascerà comunque, caro George. Tutto sta a ritardarne, democratizzarne il crollo, che – forse – è addirittura compatibile con l’estinzione del genere umano. L’Intelligenza Artificiale vi dice qualcosa?
E’ schiacciato sulla presunzione della verità ultima il galantuomo Tito Boeri, quando nella pur stimolante riflessione dal titolo “Musk e la manomissione della macchina federale” pubblicata su “la Repubblica” del 12 febbraio 2025 fa, con accenti ideologici, un ragionamento al quale forse non crede totalmente nemmeno lui stesso:

“Tutto come previsto. Anzi peggio. Il Doge (Department of government efficiency) sta producendo danni irreparabili e non solo negli Stati Uniti. Trump ha posto alla sua guida Elon Musk, una persona che non ha percezione dei limiti, che lo sta ripagando con l’epurazione dal settore pubblico di chi ha maggiore senso della propria missione al servizio della collettività. Non si sta effettuando una spending review passando al setaccio la spesa federale per renderla più efficiente.
L’obiettivo è mostrarsi determinati e brutali per spingere i dipendenti pubblici a dimettersi, dato che non si può licenziarli in massa come X-Twitter. Li si priva così della possibilità di esercitare le loro funzioni, precludendo loro, nel giro di 24 ore, l’accesso ai luoghi di lavoro. Ciò che attrae dell’impiego pubblico è la sicurezza del posto di lavoro e l’idea di fornire un servizio alla collettività. I lavoratori messi in congedo vengono tacciati di essersi appropriati per anni di denaro pubblico, additandoli al disprezzo generale. Facile prevedere che le persone più valide, quelle che hanno migliori (e ben più ricche) opportunità di impiego nel privato, se ne andranno…”.
Orbene, fermiamoci qui e chiedo scusa per la lunghezza della citazione. La critica che faccio a Boeri è che le ristrutturazioni draconiane alla Gordon Gekko del Doge sotto la leadership poco buonista di Musk, con la benedizione del mio “carissimo nemico” The Donald, hanno un effetto positivo: i lavoratori vengono riassorbiti nel privato, e c’è un feedback in termini di ripresa occupazionale; quella mobilità sociale che costituisce il tratto distintivo del capitalismo made in Usa ma direi di più del felice compromesso Welfare/capitale, è la cifra dell’America e dell’Inghilterra.
Questo dato di realtà non esiste tra le pareti domestiche del Belpaese, dove – come ricordava Alan Friedman mesi fa a “L’aria che tira” – se sei licenziato, perdi il lavoro sine die. Prendiamo ad
esempio la dottrina Musk, allora. Che però – attenzione – non è universalmente valida. Ci arriviamo subito, ancorchè per gradi. Nell’articolo atemporale dell’ottobre 2011 pubblicato su “la Repubblica” del professor Alessandro Penati “Se Steve Jobs fosse nato in Italia”, l’autore osservava: “ … La Apple delocalizza ed esternalizza la produzione in Asia e in Paesi a bassa fiscalità. Da noi verrebbe accusata di scarso senso sociale. Il principale azionista (col 5%) è un fondo americano; ma se fosse cinese o di Abu Dhabi nessuno invocherebbe la difesa dell’“americanità”. Apple opera in un settore innovativo, tecnologico e altamente concorrenziale …” Orbene, i dipendenti della burocrazia un po’ “cleptocratica” licenziati con autoritarismo da Musk possono essere assunti alla Apple e satelliti, e addirittura arrivarne al vertice.

Ma … non tutto quello che Trump e Musk fanno è corretto. Le scelte esaminate sono corrette ad avviso di chi scrive, ma altre clamorosamente sbagliate perché è l’ideologia a condizionarle.
Maledetta sia l’ideologia.
Vediamo sempre da un altro passaggio fondamentale dell’articolo di Boeri: “… Donald Trump ha ripetutamente escluso che verranno risparmiati i programmi Medicare e Medicaid oltre che i programmi di assistenza sociale di base. Del resto una delle amministrazioni finite per prime sotto la scure è Usaid, l’agenzia che gestisce i programmi di assistenza allo sviluppo degli Stati Uniti in tutto il mondo. Interrotti per tre mesi gli esborsi di nuovi fondi di aiuto per lo sviluppo e l’assistenza umanitaria, bloccati i finanziamenti in corso…”. E’ minata l’eredità della Great Society di Lyndon Johnson e di Roosevelt. Ma c’è di più e di peggio. Trump è ideologicamente contrario alla SPESA IN DISAVANZO dal 2023. E ha legato le mani al suo predecessore, impedendogli di metterla in pratica poiché aveva la maggioranza dei numeri al Congresso attraverso l’ostruzionismo del portavoce Kevin Mc Carthy, che evoca strani ricordi. E’ stato il più grosso errore nella carriera dell’immobiliarista-presidente, che gli costerà caro mentre ci sono milioni di senzatetto a New York e in giro per l’America. E’ opportuno citare in questa sede passaggi salienti della requisitoria pubblicata da Hillary Clinton per la traduzione di Anna Bissanti sul Financial Times quand’era presidente Biden, un Roosevelt dimezzato. Un Roosevelt tentato, ma frustrato.
Perché il peggio deve ancora arrivare, e forse avrà i colori della guerra civile:

“Lo speaker della Camera dei rappresentanti Kevin Mc Carthy sta facendo una richiesta di riscatto. I suoi ostaggi sono l’economia e la credibilità dell’America. Mc Carthy ha avvertito che, se il presidente Biden non accetterà ingenti tagli all’istruzione, all’assistenza sanitaria, all’assistenza alimentare per i bambini poveri, i repubblicani della Camera si rifiuteranno di alzare il tetto del debito del governo federale rischiando, teoricamente, di innescare una crisi finanziaria globale.
A giustificazione di quanto detto, Mc Carthy ha evocato più volte la minaccia della concorrenza cinese. Il portavoce ha ragione quando dice che questo dibattito ha implicazioni molto significative per la sicurezza nazionale, ma non come dice lui. Con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, con le tensioni con la Cina che continuano a inasprirsi, con altre minacce globali che incombono, la comunità internazionale guarda agli Usa per una leadership forte e salda.
La politica del rischio calcolato del Congresso per ciò che concerne il tetto del debito invia ai nostri alleati e ai nostri avversari il messaggio contrario: l’America è divisa e deconcentrata, non si può fare affidamento su di lei. Iniziamo sfatando subito un mito. Il dibattito sul tetto del debito non concerne l’autorizzazione ad altre spese, ma il saldo da parte del Congresso dei debiti che ha già contratto. Rifiutarsi di pagare vorrebbe dire fare qualcosa di simile a saltare una rata del mutuo, solo che si avrebbero ripercussioni globali. Per il ruolo che gli Usa hanno nell’economia internazionale – e per il dollaro – essere inadempienti nei confronti dei nostri debiti potrebbe innescare un tracollo finanziario globale …Oggi la competitività tra le democrazie e le autocrazie è diventata più acuta. Minando la credibilità degli Usa e il primato del dollaro, la battaglia sul tetto del debito fa il gioco di Xi Jinping e Putin. La leadership Usa nel mondo dipende dalla nostra forza economica in patria. Fare default ed essere inadempienti nei confronti dei nostri debiti costerebbe 7 milioni di posti di lavoro agli Stati Uniti e farebbe sprofondare la nostra economia in una profonda
recessione. Spesso chiediamo alle nostre nazioni di riporre fiducia negli Stati Uniti. Il nostro esercito ci sarà per proteggere gli alleati; il nostro sistema finanziario è sicuro e, quando mettiamo in guardia da pericolosi dispositivi cinesi per le telecomunicazioni o da un’imminente invasione russa, diciamo la verità. Rischiare di infrangere la promessa americana di saldare i suoi debiti mette in discussione tutto ciò…”. Riflessioni più attuali che mai.

Risultato: Biden accettò suo malgrado l’estorsione maccartista di Kevin Mc Carthy, senza poter sintetizzare i saldi del debito che il governo aveva già contratto in un provvedimento di fatto keynesiano, che voleva dire inaugurare SPESA IN DEFICIT. Due anni più tardi, The Donald torna alla Casa Bianca.
Domanda: che cosa farà Trump quando la gente scenderà in piazza?

di Alexander Bush

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Alexander Bush
Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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