Uber, taxi e trasporto pubblico non di linea: proposte dall’estero

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Introduzione

Il 10 marzo 2017, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha formal- mente invitato il Parlamento e il Governo a sciogliere il nodo di una complessiva riforma del settore della mobilità non di linea (taxi e NCC), in quanto questo risulta regolato da una legge (la n. 21 del 15 gennaio 1992, di seguito: legge quadro) ormai del tutto obsoleta e inadeguata.1 Nella sua segnalazione,2 l’Autorità ha evidenziato la necessità di un alleggerimento della regolazione esistente (al fine di garantire una maggiore flessibilità operativa ai soggetti dotati di licenza taxi) e di una apertura del settore alla concorrenza. Per far questo, essa suggerisce di eliminare, da un lato, le disposizioni che limitano su base territoriale l’attività degli operatori NCC e di introdurre, dall’altro, una regolazione “minima” di quei servizi di mobilità che utilizzano autisti non professionisti collegati ad una piattaforma digitale (come Uber Pop, i cui servizi sono attualmente inibiti sull’intero territorio nazionale a seguito di alcune decisioni del Tribunale civile di Milano).3
La segnalazione dell’Autorità rappresenta uno stimolo importante per il legislatore, che dovrebbe finalmente decidersi per una regolamentazione del settore che, come scritto nella segnalazione, persegua gli obiettivi, tra gli altri, «di adeguare l’offerta alle nuove forme di mobilità che si svolgono grazie ad applicazioni web che utilizzano piattaforme tecnologiche per l’interconnessione di passeggeri e conducenti» e «promuovere la concorrenza e stimolare più elevati standard qua- litativi». È appena il caso di sottolineare, poi, che la segnalazione in esame è stata preceduta da altri, autorevoli, “inviti”. Il più recente è contenuto nella sentenza 15 dicembre 2016, n. 265,4 in cui la Corte Costituzionale aveva ritenuto «auspicabile che il legislatore competente si [facesse] carico tempestivamente di queste nuove esigenze di regolamentazione», attesa l’impossibilità della legge quadro di regolare un settore inte- ressato da così profonde innovazioni tecnologiche e commerciali. Ma più rilevante è l’in- dirizzo venuto dalla Commissione Europea, che lo scorso giugno ha pubblicato delle linee guida sulla sharing economy nei Paesi dell’Unione,5 invitando i governi nazionali ad adottare regolazioni “leggere” e a considerare il divieto dell’attività solo come extrema ratio.6
L’occasione è dunque propizia per ragionare su alcune esperienze estere che potrebbero offrire indicazioni di policy importanti e utili al nostro legislatore interno. In questo focus si affronteranno i casi londinese, estone e portoghese.

L’esperienza londinese

A Londra, Uber si è inserito in un sistema di trasporto non di linea che, da decenni, vede affiancato al tradizionale servizio taxi (i famosi black cab) il corrispondente servizio di NCC, quello dei (comunemente detti) Minicab. L’ingresso di Uber nel mercato ha quindi costitui- to una nuova offerta che ha interessato soprattutto il segmento dei Minicab, sia dal lato dei guidatori (molti dei quali hanno deciso di aderire al sistema Uber) sia da quello dei clienti (per via delle più vantaggiose offerte della compagnia statunitense).7
Per diventare un autista Uber è necessario:8 • dotarsi di una licenza (private hire licence) rilasciata dall’autorità dei trasporti di Londra; • aver compiuto il ventunesimo anno d’età; • essere in possesso di una valida patente; • avere almeno un anno di esperienza di guida nel territorio del Regno Unito.
Il requisito della private hire licence è lo stesso alla base del sistema dei Minicab. Fare la ri- chiesta è facile quasi quanto iscriversi a un social network. Basta andare sul sito dell’autorità dei trasporti di Londra,9 iscriversi dando nome, cognome e indirizzo mail e dichiarando di voler presentare la richiesta. L’amministrazione si preoccuperà di far arrivare in meno di due settimane, come abbiamo potuto direttamente constatare attraverso una simulazione, il materiale necessario per la richiesta.
Una volta compilato il materiale e spedito, l’amministrazione verificherà che siano soddisfatti alcuni requisiti, precedentemente stabiliti, e richiederà il superamento di alcuni test. In particolare, è necessario:

  • aver compiuto il ventunesimo anno di età;
  • avere la patente da almeno 3 anni;
  • avere il diritto di vivere e lavorare in UK;
  • non aver compiuto determinati crimini;10
  • superare positivamente un esame medico per dimostrare di essere in una forma adeguata;
  • superare positivamente una valutazione sulle capacità topografiche.

Se queste condizioni sono soddisfatte, nel giro di circa tre settimane il permesso sarà defi- nitivamente accordato.
Non stiamo parlando di un sistema perfetto: ci sono, per esempio, alcune condizioni da soddisfare di dubbia utilità (su tutte: nel tempo dei navigatori e degli smartphone il dover dimostrare capacità topografiche parrebbe piuttosto superfluo). Tuttavia il regime autoriz- zatorio vigente per i Minicab londinesi è il classico esempio di sistema che, a differenza di quello italiano, risponde più alla funzione di controllo che a quella di programmazione. Una volta stabilito che non sia più nel loro interesse, sono gli autisti, non l’amministrazione, a decidere che non vale più la pena impegnarsi per espandere l’offerta del servizio.
Un importante elemento che differenzia il sistema italiano da quello inglese sta nell’obbliga- torietà della disponibilità del veicolo. In Italia, l’autorizzazione a svolgere il servizio di NCC viene rilasciata ai singoli che dispongano della proprietà o del leasing del veicolo o natante. A Londra invece, il conducente che avesse ottenuto il permesso per operare come autista Minicab potrebbe svolgere il servizio pur non avendo a disposizione un veicolo in leasing o di proprietà. Uber, a questo proposito, consente ai propri autisti anche di affittare il veicolo (per un tempo che va da un minimo di 1 h a un massimo di 12 settimane).11 È evidente che porre come condizione per svolgere servizio di NCC la disponibilità di una bella macchina, che sia di proprietà o che sia in leasing, come avviene in Italia, restringe di molto il bacino di coloro che effettivamente potrebbero essere in grado di operare in questo settore. A Londra, invece, chiunque può entrarvi.
Rendere un mercato più contendibile, si sa, porta beneficio sia a chi vorrebbe entrarci ma non può a certe condizioni, sia, soprattutto, ai consumatori, che alla fine godranno di prezzi ridotti per la maggior concorrenza. Un’offerta più dinamica, sia sotto il profilo delle minori barriere all’ingresso, sia sotto il profilo della diversità dei soggetti che contribuiscono a formarla, faciliterebbe poi anche l’ingresso di nuovi competitor, come dimostra proprio il caso di Uber. E ancora una volta, andrebbe a vantaggio del consumatore, il quale vedrebbe aumentare la probabilità che l’offerta reagisca in funzione della propria domanda, cosa che oggi, in Italia, purtroppo non accade.

L’esperienza estone

L’Estonia, dopo la caduta del regime sovietico, ha conosciuto un incredibile processo di liberalizzazione e modernizzazione della propria economia: libero mercato e innovazione tecnologica sono diventati i driver fondamentali del miracolo economico di questa piccola repubblica baltica.12 Non stupisce, quindi, che il Paese abbia fin da subito mostrato un atteggiamento di grande apertura nei confronti di piattaforme tecnologiche come Uber (nel marzo 2016, l’allora primo ministro estone chiarì che il suo governo non avrebbe mai intralciato il processo di modernizzazione tecnologica)13 e sia stato poi il primo Stato europeo a formalizzare la propria intenzione di legalizzare appieno i servizi dell’operatore statunitense.14 Ciò è stato possibile grazie al raggiungimento di un accordo per garantire il rapido pagamento delle tasse dovute dagli autisti: questi potranno, infatti, aderire a un sistema in cui la piattaforma invia direttamente i dati fiscali (a partire da quelli del reddito dichiarato) all’apposito ufficio governativo che si occupa delle imposte, dimodoché questi vengano immediatamente aggiunti alla loro dichiarazione dei redditi.15 Questa collabora- zione è stata facilitata dalla elevata digitalizzazione dei servizi amministrativi estoni: più del 95% dei contribuenti estoni paga l’imposta sul proprio reddito attraverso un meccanismo definito “E-tax” (in estrema sintesi, una semplice dichiarazione pre-compilata online che consente il pagamento in un arco di tempo che va dai 3 ai 5 minuti).16 È stato quindi suffi- ciente estendere questo rodato e efficiente sistema ai driver di Uber e di un altro competi- tor, Taxify, per risolvere il comune rilievo che viene dagli operatori “tradizionali” del rischio di evasione fiscale da parte dei loro “nuovi” concorrenti. Nel primo anno di introduzione di questo sistema (2015), esso è stato utilizzato soltanto da poche dozzine di autisti (che in totale hanno dichiarato circa 70.000 €). L’anno seguente (2016) il numero di autisti aderen- ti è aumentato notevolmente (arrivando a 274) e con esso anche gli incassi dichiarati (che hanno raggiunto quota 435.418 €, con una media di 1.589 € anno/individuo). 17
L’esperienza estone dimostra ancora una volta che per garantire qualità e efficienza nei servizi pubblici, più dei “controlli” – per quanto diffusi o penetranti – è necessaria un’ammi- nistrazione pubblica efficiente. In questo senso, un sistema fiscale chiaro, leggero e digitaliz- zato rappresenta la condizione ideale per lo sviluppo di un mercato davvero concorrenziale in cui sia limitata ogni forma di barriera all’ingresso.

L’esperienza portoghese

Il rapporto tra il Portogallo e Uber è stato meno lineare rispetto a quello che la compagnia di San Francisco ha avuto con l’Estonia. In Portogallo, infatti, durante la prima metà del 2015, un tribunale di Lisbona, accogliendo un esposto avanzato dall’associazione di catego- ria dei tassisti, aveva dichiarato illegale l’attività di Uber, ordinandone l’immediata conclu- sione. Uber, però, dopo aver appellato la sentenza, ha continuato ad operare nel Paese. Lo scorso settembre, il Governo portoghese ha deciso di presentare un progetto di legge per regolarizzare la situazione, aprendo al riconoscimento legale dei servizi di Uber, sia pure tenendoli distinti dalla «normalità del servizio pubblico», come ha affermato il ministro portoghese dell’Ambiente (ciò al fine di evitare che Uber possa godere delle agevolazioni fiscali riservate alle imprese di trasporto pubblico e ai tassisti).18
La proposta è molto articolata, ma presenta diversi punti interessanti.19 Essa prevede, in- nanzitutto, la creazione di un’apposita e nuova categoria, nota come TVDE (Transporte em Veículo Descaracterizado a partir de plataforma Eletrónica – trasporto in veicoli non contras- segnati offerti da una piattaforma online): questa sarà rappresentativa delle piattaforme elettroniche che mettono in collegamento i passeggeri e gli operatori. Per registrarsi come TVDE sarà necessario inviare una comunicazione alla autorità di regolazione locale (IMT – Instituto da Mobilidade e dos Trasportes Terrestres) fornendo tutta la documentazione ri- chiesta (sul sito dell’IMT sarà consultabile la lista dei TVDE registrati).
I TVDE possono fornire i seguenti servizi: i) intermediazione della domanda e dell’offerta tra passeggeri e operatori; ii) gestione del processo del pagamento per gli operatori/dri- vers (con un obbligo esclusivo di pagamento digitale e di emissione di fattura elettronica). I TVDE possono bloccare l’accesso alla piattaforma per gli operatori che infrangono la legge, dandone comunicazione all’IMT entro 10 giorni.
Gli operatori registrati possono essere sia singole persone fisiche che persone giuridiche, ivi compresi anche coloro i quali abbiano già fornito servizi di mobilità come tassisti (con la possibilità quindi, per l’operatore, di scegliere un regime legale diverso, qualora lo riten- ga migliore). È necessario registrarsi come operatore almeno 20 giorni prima dell’inizio dell’attività e per farlo è necessario inviare all’IMT una comunicazione che comprende: i) copia della carta d’identità del driver; ii) fedina penale del driver o del rappresentante legale della persona giuridica. Sono ammessi all’attività solo veicoli leggeri (fino a 9 posti, incluso il driver), immatricolati da non più di 7 anni, con ispezione annuale aggiornata e con standard di assicurazione almeno uguali a quelli previsti per i taxi.
Per ottenere il riconoscimento come autisti abilitati, i soggetti devono essere in possesso di una patente di guida (equivalente alla nostra patente B), un certificato TVDE e devono aver seguito un corso specifico, della durata minima di 30 ore, che comprende diversi moduli tra cui “normativa stradale”, “tecniche di guida” e “primo soccorso”.
Infine, il prezzo della corsa è liberamente stabilito dal TVDE, a patto che la formula per il calcolo sia chiaramente presentata al cliente.
Come già notato, la proposta contiene diversi punti di forza: nonostante l’introduzione di diversi vincoli per gli autisti, nessuno di questi sembra infatti particolarmente gravoso e quindi limitante in modo sproporzionato l’accesso alla professione.
In questo senso, il caso portoghese è forse il più interessante per affrontare (e risolvere) la questione della regolamentazione dei servizi che attraverso piattaforme digitali mettono in connessione autisti non professionisti e domanda finale (come UberPop): come evidenzia- to proprio dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato nella sua segnalazione, è sufficiente prevedere un registro pubblico (che potrebbe ispirarsi a quello del TVDE) e una serie di precisi, ma non invasivi, requisiti e obblighi per gli autisti e per le piattaforme.

Conclusioni: cosa ci insegnano queste esperienze estere?

In Italia il tema della liberalizzazione del trasporto pubblico non di linea è sempre stato tra quelli in cui, più di altri, è possibile verificare il fenomeno della “cattura del regolatore” da parte di gruppi di interesse organizzati. Tutti i tentativi fatti nel senso di aprire al mercato e alla concorrenza il settore sono naufragati di fronte alla coriacea resistenza opposta dagli incumbent e dal sostegno loro assicurato da diverse e trasversali fazioni politiche, a tutti i livelli di governo. Anche le proposte fatte per accompagnare i tassisti nella prima fase di transizione sono state rifiutate:20 l’illusione era di poter resistere, per sempre. La realtà e l’innovazione tecnologica si sono incaricate di smentire questa convinzione. Ormai, infatti, non si tratta più solo di garantire maggiore concorrenza all’interno del tradizionale servizio di trasporto pubblico non di linea, ma di riconoscere che i suoi stessi confini e i player in esso agenti sono nuovi e diversi.
A questo proposito, cosa ci insegnano le esperienze in esame? Esse, sia pure nella loro diversa peculiarità, sono innanzitutto un monito di “coraggio” per il nostro legislatore. An- che nei contesti esteri studiati, infatti, ci sono state resistenze notevoli da parte delle locali associazioni di categoria dei tassisti: ma essi dimostrano che affrontare e risolvere il pro- cesso d’aggiornamento della cornice legislativa, tenendo conto del mutato quadro sociale, è possibile, usando la giusta dose di attenzione e fermezza. Inoltre, tutte si contraddistin- guono per essere delle regolazioni lineari e leggere, in coerenza quindi con le linee guida della Commissione Europea. Questo è un punto su cui il nostro legislatore è chiamato a una particolare cura, come ci ha insegnato l’atteggiamento “attendista” assunto dal governo di fronte alle recenti proteste dei tassisti contro il cosiddetto emendamento Lanzillotta. L’obbligo per gli NCC di rientro in rimessa dopo aver completato una corsa è fuori dal tempo: lo era probabilmente già al tempo della sua previsione (nel 2008: ciò spiega la quasi immediata dilazione della sua entrata in vigore) e lo è senza ombra di dubbio oggi, di fronte all’imponente mutamento tecnologico avvenuto. Come assolutamente fuori tempo sarebbe pensare di vietare il ricorso a servizi ancora più innovativi come UberPop.
Un’impostazione del genere sarebbe anche contraria all’ordinamento costituzionale, come da ultimo ribadito proprio dalla Corte Costituzionale in occasione della sopracitata sen- tenza 265/2016: in essa, infatti, il Giudice delle leggi ha chiarito che l’impatto dei servizi tecnologicamente avanzati nel sistema del trasporto pubblico non di linea non può essere 20 Si pensi alla proposta che l’Istituto Bruno Leoni fece nel 2005 di assegnare ai tassisti una licenza aggiuntiva e cedibile ai terzi (cfr. M. Gilli e D. Sfregola, “Perché e come liberalizzare il mercato dei taxi”, IBL Briefing Paper, 15 agosto 2005). Oggi è interessante la proposta avanzata nella segnalazione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato della costituzione di un “fondo di compensa- zione”.
affrontato negandone in radice l’esistenza, ma richiede piuttosto un intervento del legisla- tore che ne assicuri la coesistenza con i valori presidiati dall’art. 41 Cost.21
Grazie alla capacità dell’innovazione tecnologica di ridurre i costi di transazione e le asim- metrie informative,22 anche in servizi pubblici come quelli del trasporto non di linea, un sistema di libera domanda e libera offerta – attraverso il meccanismo dei prezzi e grazie alla più rapida e efficiente intermediazione offerta dalle app23 – si può dimostrare ormai capace di individuare e soddisfare le reali esigenze della comunità, come traspare dal suc- cesso proprio di Uber. Il nostro legislatore dovrebbe quindi prendere ispirazione dai casi esaminati in questo focus, disegnando una regolazione che accompagni il servizio pubblico verso un mercato concorrenziale, rigettando la tentazione di una regolazione che provi a strozzare nelle sue pieghe la direzione presa spontaneamente dall’incontro della domanda e dell’offerta.

di Paolo Belardinelli e Giuseppe Portonera

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