La prima parte di un servizio su come da Londra viene vista la battaglia taxi-Uber
Anche per l’expat più determinato sfuggire le notizie da casa sta diventando quasi impossibile. Nell’era dei social network e degli smartphones pronti ad ingoiare ogni attimo di inattività, echi delle polemiche della Penisola arrivano ovunque, anche nella placida suburbia londinese.
Pausa al lavoro, un’occhiata ai social, tra battute e foto agli antipasti qualche articolo. Una risata a metà turno è sempre gradita, specialmente ad ore inurbane. Spesso, però, la reazione è di segno opposto e non riesci a trattenerti. A farne le spese il collega più vicino che, quando non ci sono altri italiani, è per forza straniero, il che apre scenari al limite del situazionismo puro.
Ennesima aggressione di un autista di Uber da parte delle squadracce tassinare. Esprimo il mio sdegno col solito calore mediterraneo, per incontrare solo lo sguardo perso nel vuoto del collega. Non riesce a capire di cosa stia parlando. Anche se è costretto ad usare l’auto per lavoro, per lui il taxi non è una stravaganza da ricconi; lo usa con regolarità, quando deve andare ad una delle mille occasioni sociali che qui prevedono il precipitare in uno stato d’incoscienza alcoolica come conditio sine qua non.
Il taxi per lui non è il classico “black cab” ma il molto meno caratteristico “minicab”, una berlina o monovolume dal prezzo più ragionevole, gestito da lavoratori autonomi associati ad organizzazioni più o meno grandi. Onestamente non riesce a capire per quale motivo in Italia come in Belgio ed alcuni stati americani, Uber debba creare problemi.
Il trasporto di persone con auto è regolato in maniera del tutto particolare nel Regno Unito: i black cab sono strettamente controllati, il numero di licenze è tenuto artificialmente basso dai council locali e la corporazione dei tassisti ha inventato un efficacissimo metodo per selezionare i propri membri: l’esame da tassista più duro al mondo. Più che raccontarveli, vi rimando al ben fatto blog di un aspirante cabbie, riuscito a superare il famigerato “Knowledge” dopo tre anni di studio. Il taxi nero non è solo espressione del conservatorismo inglese, ma è guidato dai migliori tassisti al mondo; sempre in giacca e cravatta, con una conoscenza a prova di bomba delle strade della città, cortesi anche se loquaci e pronti a fornire opinioni su tutto e tutti. I 24000 cabbie londinesi sono l’aristocrazia della working class, orgogliosi del non aver studiato e della loro professione, che peraltro gli garantisce un reddito di tutto rispetto, in molti casi superiore alle 50000 sterline all’anno.
Diventare un autista di minicab è decisamente più semplice: niente contingentamento delle licenze, basta riempire un modulo fornito da Transport for London, l’ente pubblico che gestisce i trasporti nella capitale. Requisiti? 21 anni, patente UK o europea da almeno 3 anni, fedina penale pulita, un “certificato di capacità topografica” (versione estremamente semplificata del Knowledge), un certificato di idoneità medica e poco altro. Costo totale circa 500 sterline, licenza rilasciata in tre mesi circa. Il quadro regolamentare sembra quindi chiaro, ma cosa succede effettivamente quando si entra nel mercato? Qual è stato l’impatto della tecnologia e di Uber? Ne parleremo nella seconda parte. Stay tuned.
Luca Bocci