Il nuovo Presidente è stato eletto in Ucraina: ma si aspetta ancora la “ripulitura” degli uffici pubblici da tutti quelli che hanno procurato la rovina del Paese
Sono trascorsi alcuni giorni dall’elezione di Petro Porošenko, quinto Presidente dell’Ucraina. A Majdan già fervono i lavori di ricostruzione e restaurazione di alcuni degli edifici danneggiati dalle fiamme e dagli scontri di febbraio. Si ripongono nuovi mattoni laddove questi sono stati divelti dagli strenui difensori dell’idea del cosiddetto Euro Majdan, vale a dire i sostenitori di un’integrazione europea dell’Ucraina e i propugnatori di un radicale cambiamento del sistema corrotto e asfissiante dell’amministrazione pubblica. Non a caso, rammento, quando sotto il pericolo incombente delle cariche della polizia antisommossa e il rischio di perdere la vita, la folla inferocita scandiva a chiare lettere: bandu het’! (via la banda da qui!). Si intendeva, ovviamente, la banda di governo e dei suoi scagnozzi radicati su tutto il territorio politico-amministrativo e in molte delle sedi diplomatico-consolari all’estero.
Nel giorno dell’elezioni presidenziali è stato commovente vedere la fiducia e la voglia di cambiamento che ha spinto moltitudini di persone, spesso in età avanzata o con disabilità fisiche, con il caldo torrido di quei giorni, a resistere in piedi delle ore davanti ai seggi elettorali.
A tutti era chiaro che l’unico candidato favorito avrebbe dovuto vincere senza indugi e all’unanimità, evitando i rischi di un ballottaggio a causa dell’instabilità politica del paese. A tutti stavano a cuore le sorti dell’Ucraina, dilaniata nelle sue regioni sud-orientali (Donec’k e Luhans’k) da una guerra non dichiarata. Ancora una volta, come nel caso della centuria “celeste” perita a Majdan, gli ucraini hanno mostrato il loro lato più nobile: valore fisico e morale, senso di responsabilità civile e nazionale (molti non hanno scelto il proprio candidato preferito, ad esempio Tymošenko) ma, soprattutto, una grande voglia di cambiamento.
Il discorso inaugurale del presidente, durante l’insediamento, espresso in ucraino e a tratti in russo (per le regioni orientali) con categoricità, coerenza, patos e ponderazione, è stato degno di un etmano cosacco di tempi andati, in particolare quando questi ha innalzato la bulava. Varrebbe davvero la pena di rivedere in versione italiana l’intero discorso di insediamento.
Ma cosa accade nella società?
La guerriglia continua nella zona di Donec’k, anche se si è fiduciosi di un suo evolversi positivo, anche a seguito del dialogo telefonico, di cui non si conoscono i contenuti, tra Porošenko e Putin.
La cosiddetta ljustracija (“ripulitura”, interdizione completa dai pubblici uffici), a dispetto delle richieste di molti attivisti di Majdan, gruppi radicali e opinione pubblica, non ha ancora avuto luogo: continuano a occupare le poltrone quegli stessi proci, sovente corpulenti, che hanno contribuito alla rovina morale e finanziaria del paese, delle istituzioni, della sanità, delle università ecc.
Certamente il neo presidente si è da poco insediato e i cambiamenti implicano spesso dei processi lenti e refrattari alle modifiche. Va tuttavia ricordato che il pesce non sempre “puzza dalla testa”, talvolta anche dalla base.
Salvatore Del Gaudio