Il referendum costituzionale alla luce di quanto già successo: fu vera democrazia?
Come nasce il regime di Partito unico? Ha tre ingredienti: un “capo” (già novant’anni fa lo fu un quarantenne), la scelta “dall’alto” dei parlamentari (al posto della loro libera elezione da parte dei cittadini), il progressivo svuotamento del diritto di voto.
Il regime di Partito unico (il listone fascista del 1924, il “fronte popolare social-comunista” del 1948 battuto in breccia dall’ammucchiata intruppata da De Gasperi nella DC) è l’opposto del cammino compiuto dall’Italia liberale dal 1848 alla sua eclissi: un percorso tribolato, pieno di trappole, l’unico, però, garante del progresso nella libertà. Perciò sappiamo quando è il momento di alzarsi a fermare la deriva verso lo Stato autoritario. Nel “ventennio” il regime di partito dovette fare i conti con il muro invalicabile della monarchia. Il 25 luglio 1943 fu il re, non l’inesistente comitato di liberazione nazionale, a liquidare Mussolini. L’attuale presidente della Repubblica ha ancora poteri politici e morali che gli assicurano l’esercizio del ruolo di Capo dello Stato. Ma dopo la riforma costituzionale incombente e con la nuova legge elettorale, l’osceno “Italicum”, tutto sarà diverso. Il presidente della Repubblica verrà eletto da una maggioranza parlamentare a sua volta espressione del 20% dell’elettorato (o anche meno) e ne sarà lo zimbello. Quale ne sia la personalità, non sarà la sintesi della Storia d’Italia, ma una figura scialba, marginale rispetto al capo del governo, che si varrà di “plebisciti” spacciandoli per consenso della “gente”. Lo vediamo già oggi. Renzi e la Boschi continuano a sbandierare il 41% delle elezioni “europee” di due anni fa, che in realtà furono un magro 22% del corpo elettorale. Se per sciagura Renzi vincesse il referendum del prossimo ottobre, sommerebbe “ducismo del capo” e servilismo della “folla”, due pratiche plebee della vita pubblica e privata, ridotta a questione di quattrini.
Perciò occorre far memoria del passato: riflettere sul 1926, che non è un “ieri” qualunque ma un mònito per l’oggi. La libertà si conquista e si perde un po’ per volta. Però, come nei terremoti, dopo tante scosse premonitrici arriva quella devastante. L’Italia lo visse novant’anni fa. Storia antica? Niente affatto. Ricordarlo serve ad aprire gli occhi su quanto ci attende se al referendum d’ottobre non verranno bocciate tutte le deformazioni della Costituzione vigente e imposte a colpi di voti di fiducia a un Parlamento screditato sin dalla sua elezione, come sentenziato dalla Corte Costituzionale. Il tutto mentre incombe la probabile astensione dal voto del 40-50% degli aventi diritto: una massa enorme di indifferenza, sfiducia e persino di dichiarato disprezzo verso istituzioni giorno dopo giorno logorate dalla rissa dei movimenti, partiti e avventurieri accampati in Parlamento.
Aldo A. Mola