Quando in pompa magna, con roboanti dichiarazioni di “finalmente sconfitta la povertà” (risultato inseguito per millenni dall’uomo e ora raggiunto con un decreto legge!) si è varato il reddito di cittadinanza ci si è premurati di affermare che non era affatto (come tra tanti altri aveva denunciato Libertates) un sussidio elargito a pioggia, ma un sistema per diffondere l’occupazione basato su due gambe: un sussidio a tempo e un’agenzia per far lavorare i tanti disoccupati: l’Anpal per l’appunto.
Questa Anpal, un’agenzia statale con 400 dipendenti a cui fa capo anche l’Anpal servizi (altri 1000 dipendenti) ha come presidente (di ambedue le società) quel famoso Mimmo Parisi che i Cinque Stelle hanno scovato all’Università del Mississippi, autore di una app che avrebbe dato risultati miracolosi nella ricerca di posti di lavoro.
A parte la considerazione che non si capisce per quale motivo uno Stato tutto sommato tra i migliori nel campo della ricerca e della programmazione debba andare fino in Mississippi per trovare (e comperare) un’app per la ricerca del lavoro; che questa app ha funzionato in uno Stato come il Mississippi con esigenze opposte a quelle italiane: cioè di trovare lavoratori e non di trovare lavoro ai disoccupati, quali sono stati i risultati?
Zero.
E quando si parla di zero non si tratta di un eufemismo, si tratta di un numero: i posti di lavoro trovati a coloro che ricevono il reddito di cittadinanza: lo 0,7% di chi ha fatto domanda. Cioè nessuno.
A fronte di questo ci sono le spese del presidente (Mimmo Parisi): 40.000 euro di affitto per l’appartamento ai Parioli, 55.000 euro per l’auto di servizio con autista, 71.000 euro per i viaggi in America in business class; a cui naturalmente va aggiunto lo stipendio di 160.000 euro; spese tra l’altro contestate dal suo stesso consiglio di amministrazione.
All’Anpal fanno naturalmente capo anche i tremila “navigator” che incassano uno stipendio di 1700 euro mensili nette (+ 600 euro di rimborso INPS) senza fare assolutamente nulla: un autentico disastro.
Non sarebbe più opportuno mettere la parola fine a un’esperienza disastrosa, potenziando e facendo finalmente funzionare i centri dell’impiego (i vecchi “uffici di collocamento”) e trasformando il reddito di cittadinanza (che è sempre più un “assegno del divano”) in quell’”assegno di ricollocazione” che avevamo copiato anni fa dalla Svezia e che sembrava funzionare?
Altrimenti di una “rivoluzione nel mondo del lavoro” (Di Maio docet) rischiano di restare solo le note spese, contestate, di un signore arrivato dal Mississippi.
Ma per farlo occorre un coraggio che la nostra politica non ha: quello di ammettere gli errori
di Angelo Gazzaniga