Un nuovo modello per l’Europa

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fabbrini
Quale futuro per l’Europa: non solo unione monetaria, ma anche politica

La crisi dell’euro non è stata (né continua ad essere) una tra le tante crisi che l’Unione Europea (UE) ha dovuto affrontare. Essa ha introdotto uno spartiacque tra prima e dopo, mettendo in radicale discussione il progetto integrativo che aveva condotto al Trattato di Lisbona del primo dicembre 2009. La crisi dell’euro ha infatti prodotto una pluralità di Trattati e accordi intergovernativi che riguardano principalmente i paesi dell’Eurozona, rendendo esplicita la divaricazione di interessi tra quest’ultima e i paesi che hanno conservato la loro moneta nazionale.
Sotto la pressione della crisi, l’Eurozona ha accentuato la propria integrazione mentre i paesi esterni all’Eurozona (il Regno Unito in particolare) hanno accentuato l’autonomia della loro politica monetaria e di bilancio. A sua volta, il carattere preminentemente intergovernativo dell’integrazione che si è realizzata nell’Eurozona ha accentuato il conflitto di interessi tra paesi centrali e periferici, tra paesi creditori e debitori, tra paesi con governi stabili e paesi con governi instabili. Un conflitto di interesse che si è cercato di arginare attraverso una regolazione sempre più dettagliata delle politiche economiche interne, al punto da configurare la “governance” dell’Eurozona come tecnocratica e gerarchica. Il processo di integrazione sta attraversando una vera e propria crisi democratica. Per risolverla occorre avviare un nuovo processo costituente.
Ciò significa tre cose in particolare. Primo. E’ necessario arrivare ad un Trattato dell’Eurozona, distinto dal Trattato di Lisbona, che dichiari esplicitamente l’identità politica del progetto della moneta comune. L’euro non è una cooperazione rafforzata, ma un passaggio cruciale dell’integrazione politica. E’ irrealistico assumere che i britannici o gli scandinavi o gli ungheresi finiranno prima o poi per adottarlo. Occorre riconoscere che vi sono diverse prospettive dell’integrazione, non già tempi diversi per giungere alla stessa meta. Non riconoscere ciò vuole dire mettere in discussione il bene che le due aree di paesi hanno in comune, ovvero il mercato unico. Il Trattato di Lisbona deve preservare e organizzare quest’ultimo, alleggerito delle parti che non sono ad esso strettamente connesse, come richiesto in particolare dai britannici. Nello stesso tempo i britannici dovranno riconoscere all’Eurozona la possibilità di darsi una sua base costituzionale, trovando quindi con l’Eurozona soluzioni pragmatiche ai problemi che sicuramente deriveranno dalla loro comune partecipazione al mercato unico.
Secondo. Il nuovo Trattato dell’Eurozona dovrà superare il principio del coordinamento delle politiche economiche interne, senza necessariamente ritornare al metodo comunitario. L’Eurozona dovrà darsi un governo comune, anche se difficilmente potrà essere un governo parlamentare. Il parlamentarismo è un sistema di governo in cui il legislativo è la sede esclusiva della volontà popolare. Adottato in uno stato federale (come la Germania, l’Austria, il Belgio, il Canada, l’Australia, ma anche l’India), ciò implica che la camera popolare è la depositaria esclusiva della formazione/sfiducia del governo. Contemporaneamente, secondo modalità diverse, vengono eletti i rappresentanti della camera alta di rappresentanza dei territori (Laender, Province, Regioni), ma quest’ultima non ha poteri di governo. Applicato all’Eurozona, ciò significherebbe dare i poteri di governo al parlamento, la cui maggioranza dovrebbe scegliere la commissione e il suo presidente. Questo sistema non può funzionare nell’Eurozona, come non ha potuto affermarsi dopo tanti anni nell’Unione Europea, per via delle forti asimmetrie demografiche e differenziazioni nazionali che vi sono tra gli stati membri. Dove ci sono tali asimmetrie, è impossibile istituire un’unica ed esclusiva sede della volontà politica, il parlamento (appunto). Nonostante la ‘proporzionalità degressiva’ che sovra-rappresenta gli stati piccoli, questi ultimi (che sono la grande maggioranza dell’Eurozona e dell’UE) continuerebbero ad avere una minoranza di seggi nel parlamento, con l’esito di incidere poco sulla formazione della commissione e del suo presidente. Non stupisce, infatti, che le unioni federali nate per aggregazione di stati precedentemente indipendenti e asimmetrici (come gli Stati Uniti e la Svizzera), si siano dotate di un sistema di governo basato sulla separazione dei poteri, non già sulla loro fusione centralizzata nella camera popolare. In sistemi a separazione dei poteri, infatti, le decisioni sono prese attraverso il concorso di istituzioni distinte che, grazie ad un meccanismo di controlli e bilanciamenti, tengono in equilibrio gli interessi degli stati più grandi con gli interessi di quelli più piccoli. Se i piccoli sono minoranza in una camera, possono però farsi sentire nell’altra camera, oltre che incidere sulla formazione o composizione dell’esecutivo. Le forme della separazione possono essere diverse, ma ciò che conta è prevenire le gerarchie di potere tra gli stati (come è invece avvenuto nell’Eurozona).
Terzo. Il nuovo Trattato dell’Eurozona dovrà separare nettamente il livello europeo da quello nazionale, dando al primo responsabilità e risorse proprie e distinte da quelle che attengono al secondo. Nello stesso tempo, unione di stati asimmetrici funzionano solamente se hanno centri con poteri limitati, seppure con un’autorità politica definita. La confusione dei poteri tra i due livelli è alla base dell’invadenza tecnocratica che si è realizzata durante la crisi dell’euro. L’Eurozona dovrà dotarsi di un suo budget autonomo, seppure ridotto, derivato da una fiscalità specifica, non già dai trasferimenti finanziari dei paesi che ne fanno parte. La combinazione di un’autonoma capacità fiscale e di una autorità politica comune darà sostanza democratica all’unione politica dell’euro.
Le unioni federali non vanno confuse con gli stati federali. Le prime nascono per aggregazione di stati precedentemente indipendenti, mentre i secondi nascono dalla disaggregazione di uno stato precedentemente unitario. Sia gli Stati Uniti che la Svizzera sono nate come unioni federali, mentre tutti gli altri sistemi federali per disaggregazione (come la Germania, l’Austria, il Belgio, il Canada, l’Australia e la stessa India) sono nati come stati federali. Se non liberiamo il concetto di federalismo da quello di stato, sarà difficile trovare una soluzione istituzionale per l’Eurozona. Un’unione non è uno stato ma ha un governo. Ciò significa che l’Eurozona avrà bisogno di distinguere il potere legislativo da quello esecutivo. Il primo dovrà incardinarsi sul Parlamento e il Consiglio dei ministri, entrambi dotati di una potestà legislativa da utilizzare insieme. Il secondo dovrà incardinarsi in una combinazione del Consiglio europeo e della Commissione, secondo una logica di esecutivo duale che tenga in equilibrio gli interessi dei governi nazionali con quelli dei cittadini europei. Sarà difficile andare verso un Euro Political Union se non ci si dota di una teoria politica adeguata alla sfida da affrontare.

Sergio Fabbrini ha sviluppato queste idee nel suo, WhichEuropean Union? Europe After the Euro Crisis, Cambridge University Press, 2015. Per la comparazione tra Europa e Stati Uniti si veda anche il suo precedente volume, Compound Democracies: Why Europe and the UnitedStates Are BecomingSimilar, Oxford University Press, 2010, 2° edizione. E’ editorialista de Il Sole 24 Ore dove queste idee sono state in più occasioni discusse.

Sergio Fabbrini*
*Con questo articolo Sergio Fabbrini, direttore della School of Government alla Luiss di Roma, inizia la sua collaborazione a Libertates
Per contatti: sfabbrini@luiss.it

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