La democrazia diretta è solo una speranza, che forse mai si realizzerà. A dirlo al Festival del giornalismo di Perugia Kevin Bleyer, sceneggiatore americano e collaboratore per la scrittura dei discorsi di Obama. I politici americani, e in maniera ancora sperimentale anche i politici nostrani, usano i social network più come strumento di marketing che quale strumento di partecipazione dei cittadini. Quindi social network non come strumenti di democrazia ma di marketing, in cui gli utenti offrono una prestazione lavorativa gratuita e in cui sono consumatori di un prodotto commerciale in un mercato virtuale.
È ormai da un bel po’ di anni che si parla sempre più spesso di democrazia diretta del web e dell’esportazione della medesima attraverso la rete. Come ogni rivoluzione industriale, scientifica e tecnologica la carica di positivismo che nuove idee portano pervadono ogni uomo, donna e ogni aspetto sociale che abbia a che fare con l’essere umano, sia questo legato alla politica, alla scienza, alla vita quotidiana degli individui. II social network, la rete e internet negli ultimi anni hanno dato la sensazione – o come sarebbe più giusto dire il condizionamento, l’influsso comunicativo di politici, guru della comunicazione e media – ci hanno sempre più fatto credere che i nuovi prodotti e medium digitali avrebbero “finalmente” permesso una democrazia diretta, senza filtri e intermediazione alcuna tra cittadino e cosa pubblica (tramite sarebbe stato il device tecnologico, vero e proprio collante e “braccio” dell’uomo della rete). Per la prima volta la scelta diretta del cittadino si sarebbe tramutata real time in “gesto fisico” nei confronti della politica e dei suoi amministratori (l’online sarebbe coinciso con l’offline).
Per riprendere il tema della “democrazia da esportare”, la rivoluzione iraniana e le primavere arabe hanno dimostrato la scarsa capacità “rivoluzionaria” della rete. Ottimo si è rivelato l’uso dei social network, di twitter in particolare, come strumento di comunicazione all’interno di un fronte alla ricerca di organizzazione e coordinamento: twitter è quindi stato un fondamentale mezzo di comunicazione real time, assai simile all’uso degli strumenti radio per l’informazione e la coordinazione degli eserciti durante le due guerre mondiali. Un uso tattico dei social invece di una rete fisica in grado di condurre a una rivoluzione dal basso. Si noti anche, ad esempio, che durante la rivoluzione iraniana il traffico dei tweet era per la maggior opera di attivisti e cittadini iraniani fuoriusciti da anni dai confini nazionali e da media stranieri e pubblico della rete più in generale: quindi una discussione condotta da persone non fisicamente attive durante i mesi della protesta. Con questo non si vuole ridurre l’importanza e la consistenza dell’opinione pubblica contro quella forma di regime, ma si trattava di un appoggio culturale non in grado, senza un profondo scollamento culturale, sociale, economico e militare “interno”, di portare ad un mutamento politico radicale in senso democratico.
La democrazia partecipata per ora rimane quindi solo una tendenza e i social media non sono in grado di realizzarla. I social network sono però ottimi strumenti matematici per carpire i segreti dei potenziali elettori.
Gilbert du Motier de La Fayette