Quale Europa dovremo aspettarci dopo la Brexit?
Dopo la Brexit, lo psicodramma che si sta consumando all’interno dell’Unione Europea è salito di un altro gradino emotivo. E il culmine della climax potrebbe essere ancora lontano. Coinciderà con un possibile referendum indetto in vista della Nexit, cioè l’uscita dell’Olanda?
In verità – e tocchiamo ferro – l’attuale condizione di soporifera inerzia, insensibile ai sommovimenti interni alla Ue, ricorda un po’ quella della vecchia Jugoslavia. Anche allora, per anni e anni, nel moltiplicarsi delle spinte centrifughe, c’era chi predicava il “tutto cambi perché niente cambi”. “Accontentiamo qui una repubblica, là una regione autonoma, concediamo un po’ di libertà a quella associazione, vantiamo l’eredità morale del piccolo padre Josip Tito, e vedrete che tutto si aggiusterà”: così dicevano i sostenitori del regime. Infatti… abbiamo visto come è andata a finire.
Invece, per chi conosceva la situazione jugoslava, la meraviglia era dovuta piuttosto al fatto che la crisi finale sopraggiungesse solo così tardi. La struttura dello Stato belgradese, in effetti, ha resistito al di là della ragionevolezza politica, salvo trascinare tutto alla fine, con violenza moltiplicata, come una diga salta all’improvviso sotto la pressione dell’acqua.
Sicché, è giunto il momento di ricordare che l’inerzia politica e istituzionale produce sempre i suoi mostri, e questo vale anche per la Ue. I principali responsabili del declino attuale, accompagnato dai primi smottamenti, sono gli eurocrati, i politici e gli intellettuali ideologicamente europeisti che hanno chiuso gli occhi sulla realtà, abbandonando di fatto l’Unione al suo destino. Ma adesso ogni ulteriore ritardo potrebbe essere fatale.
Che fare allora? Acutamente Angelo Gazzaniga, nell’articolo pubblicato su Libertates con il titolo “Volkswagen, una truffa europea”, indica un rischio uguale ed opposto per il futuro dell’Europa. Teme cioè che, affermandosi una associazione degli Stati al posto dell’Unione, si accentui al suo interno l’egemonia del socio più forte, la Germania, invogliata a stabilire con gli altri un patto leonino: o comando io, o fuori tutti.
Comunque l’autore dell’articolo ammette per primo che le cose stanno già così: lo prova il fatto che le eccedenze di esportazione della Germania – e l’incredibile comportamento della Volkswagen nei confronti dei clienti truffati europei – sono state imposte agli altri, senza se e senza ma. Dunque, se non è una Europa gollista degli Stati la soluzione, non lo è neppure quella attuale: fra l’altro, se così restassero le cose, assisteremmo presto a probabili richieste di ingresso di nuovi soci (come quella della Scozia) desiderosi di ottenere aiuti a spese degli altri in favore delle loro economie pericolanti e corporative.
La risposta deve essere invece quella di una nuova Unione confederale, fondata insieme sugli ideali, le regole e gli interessi. Democrazia dentro e fuori i suoi confini, libera espressione, mercato comune, libero scambio delle persone, difesa dell’euro e unione bancaria, politica estera e difesa comune, regole di welfare. Principi da sancire con un nuovo Trattato, cui potranno aderire tutti gli Stati interessati, e che dovrà essere rispettato in modo ferreo, pena l’espulsione (ma con naturalmente la libera opzione di exit). Tale Trattato dovrà essere approvato con referendum sottoposti ai cittadini di tutti gli Stati aderenti (anche in Italia dovrà essere reso possibile con una legge apposita). In un simile assetto confederale il bilancio comunitario dovrà essere drasticamente ridotto (idealmente non superiore a quello medio degli Stati membri), dovranno essere aboliti i fondi strutturali e tutto l’armamentario giuridico, assistenziale e normativo attualmente gestito – disastrosamente e ottusamente – dagli eurocrati.
La formulazione del Trattato, così come la guida dell’Unione, dovrà spettare a una Presidenza, non soggetta alla fiducia, che unisca i poteri attuali della Commissione e del Consiglio Europeo, e in cui si equilibrino, attraverso un sistema di rotazioni, controlli e bilanciamenti, il diverso peso specifico e demografico dei singoli Paesi membri. Dovrà essere previsto nel Trattato che l’ultima parola sulle grandi decisioni comuni spetti sempre ai singoli Parlamenti e ai cittadini degli Stati membri: unico modo per riavvicinare la Ue ai cittadini.
Ma tutto ciò dovrà essere realizzato in tempi rapidi, senza aspettare un nuovo choc europeo, che potrebbe avere effetti devastanti. Mai come ora, essere europeisti significa voler cambiare radicalmente questa Unione Europea.
Dario Fertilio