Nella lingua inglese esistono due vocaboli per definire l’attività politica: “policy” e “policies” (che in italiano vengono malamente tradotte con “politica” e “politiche”).
Due vocaboli quasi simili ma che indicano una differenza sostanziale nel metodo di far politica:
- per “politiche” (policies) si intende far politica con progetti e programmi, ottenere il potere per portare a compimento questi progetti
- per “politica” (policy) si intende utilizzare la politica per avere un potere, fare progetti e programmi per mantenere questo potere.
Due personaggi ormai storici esemplificano questa differenza di comportamento:
la Thatcher (che faceva politica per applicare principi liberali alla Gran Bretagna) e Andreotti (che ha sempre fatto politica per gestire un potere).
Ovviamente secondo noi il vero impegno politico per un cittadino dovrebbe essere quello di fare “policies”: mentre vediamo come in Italia (non sempre, ma molto spesso) il metodo normale sia quello di fare “policy”. Anzi nel primo caso si viene tacciati spesso di visionari, inconcludenti, sognatori: in una parola inutili scocciatori per dei politici impegnati in una politica molto, troppo “reale” e “pratica”.
Ma noi continuiamo a essere inguaribili sognatori: per noi la politica deve essere fatta di “policies” per essere davvero tale: altrimenti è solo una gestione del potere, magari utile, ma ben poco nobile e gratificante.
La dimostrazione che questo modo di fare politica non è né morto, né dimenticato ce la dà un libro recentemente edito da Bibliotheca Albatros (Dialoghi sull’Italia della Seconda Repubblica ): in esso tre giovani (Fabio Cesaro, Domenico Spina e Roger Locilento) si confontano in modo aperto e costruttivo su alcuni temi fondamentali della nostra democrazia con il solo scopo di fare “policies” e non di conquistare qualche posizione di potere.
Angelo Gazzaniga