Una proposta per la riforma della Magistratura
Lo scandalo del Csm, organo di autogoverno dei magistrati, e dell’Anm, sindacato parallelo, entrambi percorsi da un traffico convulso di nomine, influenze e ricatti, e allacciati in rapporti perversi con il mondo politico, impone una riforma di portata ben maggiore e radicale rispetto a quella prospettata dal governo giallo-verde. Ci vuole una rottura profonda, una vera rivoluzione democratica. In primo luogo, il potere giudiziario deve essere restituito al popolo, da cui trae legittimità, attraverso le giurie popolari, lasciando al giudice professionista il solo compito di applicazione tecnica delle decisioni. Sempre in omaggio al principio della sovranità popolare, i Pubblici ministeri devono essere scelti dai cittadini, in quanto rappresentanti degli interessi dello Stato e titolari in suo nome del potere di perseguire i reati. I giudici devono ritornare invece al loro ruolo naturale di appartenenti a un ordine, fuori da qualsiasi compromissione con la politica, e tenuti a una totale imparzialità anche nella loro immagine pubblica. Il Csm, sede provata di intrallazzi corporativi, deve essere abolito, insieme all’assurdo di un sindacato dei magistrati che, attraverso le correnti, ostenta pubblicamente la sue opinioni politiche. Ancora, per garantire una reale separazione dei poteri, deve essere stabilita la incompatibilità fra magistratura e politica: un magistrato potrà candidarsi a una carica pubblica solo cinque anni dopo aver lasciato il suo incarico e non nella regione in cui ha esercitato la propria attività.
Ma per avviare una simile rivoluzione democratica, che avvicinerebbe l’Italia alle grandi democrazie liberali, come il Regno Unito e gli Stati Uniti, bisogna preparare l’avvento di una nuova formazione politica estranea a ogni moderatismo, radicalismo, e contiguità alle vecchie categorie di destra, centro e sinistra. Compito immane, ma inevitabile per chi non voglia assistere impotente al declino della democrazia italiana.
di Dario Fertilio