La vicenda Montepaschi verso la fine; ma a che prezzo?
Dopo anni di perdite, di tentativi falliti, di reticenze, finalmente la vicenda del Montepaschi si dovrebbe avviare verso la fine ampiamente prevista: il salvataggio ad opera dello Stato.
Infatti si prevedono tre mosse che vanno tutte nella stessa direzione:
- acquisto da parte del fondo Atlante di una parte delle sofferenze al 30% del loro valore. Prezzo notevolmente superiore a quello pagato dallo stesso fondo alle quattro banche fallite e riconosciuto dal mercato (il 17%). In caso di vendita (ovviamente al 17%) la differenza rimarrebbe a carico del fondo Atlante, cioè della Cassa Depositi e Prestiti, cioè dello Stato.
- Un aumento di capitale della banca per compensare le perdite. Questo aumento potrebbe essere coperto da un investitore estero. Ma questo investitore interverrebbe solo se coperto da una garanzia dello Stato,e quindi alla fin fine i rischi tornerebbero in capo allo Stato.
- Se non si trovasse nessun investitore disposto ad intervenire (e quale investitore dovrebbe rischiare in un pozzo senza fondo come Montepaschi?) sarebbe lo Stato ad intervenire direttamente. In questo caso (per la normativa europea) sarebbero chiamati a rispondere anche gli obbligazionisti subordinati (i soliti piccoli truffati dalla banca) rinunciando a parte (o tutto) del proprio investimento. A questo punto, trovata geniale, lo Stato interverrebbe a coprire queste perdite: cioè le perdite finirebbero comunque in capo allo Stato.
Alla fin fine sarà sempre lo Stato, cioè i cittadini incolpevoli, a pagare; perché è inutile continuare a giocare con le parole: il Montepaschi è un’azienda fallita. Affermare che non è così perché la gestione corrente è attiva (come sostengono in molti) andrebbe detto alle migliaia di piccole e medie ditte che sono fallite semplicemente perché soffocate dai debiti precedenti.
Non vorremmo però sostenere che non sia doveroso un intervento da parte dello Stato. Ma a certe condizioni ben chiare e definite: che sia un intervento a termine e non una nazionalizzazione strisciante; che siano ben chiarite le cause del dissesto e siano puniti i responsabili; che sia cambiata tutta una dirigenza risultata inaffidabile…
Ciò si potrebbe ottenere in modo chiaro e diretto: dichiarare quello stato di fallimento ormai palese, far rinascere immediatamente una nuova banca che garantisca dipendenti, correntisti e debitori; sarà poi compito dei liquidatori e della magistratura accertare e definire le responsabilità.
Una soluzione già adottata per il Banco Ambrosiano ai tempi della famigerata Prima Repubblica: che funzionasse meglio di questa Seconda Repubblica?
Angelo Gazzaniga