Il volume Diario proibito, che raccoglie i diari, tradotti per la prima volta in Italia da Nadia Cicognini, della poetessa Ol’ga Berggol’c, nascosti e salvati in un cortile di Leningrado, è una dolorosa e lucida testimonianza su un periodo tragico e controverso della storia di Leningrado, stretta nell’assedio nazista per 900 giorni, dall’8 settembre 1941 al 27 gennaio 1944.
Il caso di Ol’ga Berggol’c riflette la complessità e l’ambiguità del ruolo sostenuto da molti esponenti dell’intelligencija impegnati in prima persona anche come attivisti politici nella società russa, incarnando le laceranti contraddizioni che l’attraversavano. Passati attraverso le repressioni e le purghe, ed emarginati in quanto sedicenti “nemici del popolo”, furono poi riabilitati e reintegrati nell’establishment culturale allo scoppio della Seconda Guerra Mondiale e temporaneamente investiti dal regime staliniano di nuove responsabilità civili.
Olga Berggol’c viene arrestata nel 1938 con l’accusa di appartenere a una “frazione trockista-zinovieviana”, pochi mesi dopo l’arresto e la fucilazione del suo primo marito, Boris Kornilov. Dopo essere stata sottoposta, secondo la prassi consolidata nell’iter giudiziario e repressivo staliniano, a ripetuti interrogatori e torture, che le causano anche la perdita del figlio di cui era in attesa, nel 1939 viene inaspettatamente liberata per la mancanza di prove indiziarie a suo carico e riabilitata.
Tornata in libertà, la Berggol’c si sforza di riprendere una vita normale, tormentata dal ricordo di quella esperienza devastante e disgustata dalla menzogna e dalla violenza intrinseche al potere sovietico, mentre un’altra tragica violenza, quella della guerra, va stringendo in una morsa la città di Leningrado.
Da Radio Leningrado, dove viene assunta come speaker e redattrice, la Berggol’c ogni giorno mette in onda il suo cuore, trasmettendo notizie dal fronte e infondendo coraggio, per sostenere il morale dei difensori affamati e in preda al terrore ed esalta attraverso la sua poesia il loro coraggio e il loro eroismo, per incitarli a resistere secondo i diktat del regime.
La propaganda staliniana esalta il coraggio dei cittadini, strumentalizzandolo e costringendo i suoi abitanti a vivere “da eroi”, come nel famoso film di Grigorij Aleksandrov, Il Radioso cammino, ma della reale situazione della città è proibito parlare. La città tanto detestata da Stalin per la sua identità troppo europea e l’eccentricità sospetta di alcuni protagonisti della sua vita culturale, da Anna Achmatova a Dmitrij Sostavkovič – e detestata al punto che pare esistesse un piano segreto per distruggerla nel caso i tedeschi fossero riusciti a prenderla – è ormai emarginata e isolata dal resto del paese.
Nella disperazione collettiva, mentre la propaganda staliniana diffonde i suoi slogan vuoti e menzogneri, la voce della poesia ha tuttavia il potere di commuovere e di riaccendere la speranza. Nelle sue trasmissioni nella Leningrado sotto assedio Ol’ga Berggol’c, anche attraverso la lettura delle sue poesie, incoraggia a resistere: “Sopporta, non cedere, mia terra, resisti mio esercito perché io voglio vivere, perché tu riuscirai a vivere malgrado tutto il sangue versato”.
Ol’ga Berggol’c svolge così un importante ruolo sociale alla Radio, ma al tempo stesso annota nel suo diario ciò che non poteva raccontare: la morte, la fame, le privazioni, la disperazione quotidiana in una città ormai stremata e che sembra condannata a un tragico destino.
“La morte è vicina, appena dietro quelle case”, scriveva ai primi di settembre del ’41 , e la morte avrebbe progressivamente divorato il corpo della città, inerme anche per l’inefficienza dell’apparato burocratico e di potere. Persino le ruspe non bastavano per scavare le innumerevoli fosse, mentre il rombo delle incursioni aeree e dell’artiglieria era così frequente da far sembrare ancora più angosciosi i sempre più rari minuti di silenzio; mentre la fame stremava la popolazione, lasciando la sua impronta ancora più terribile sui volti dei bambini, “severi, quasi impenetrabili, neri volti tumefatti per gli stenti”.
Una intensa drammaticità pervade le pagine del diario dove il senso incombente e angoscioso di morte s’intreccia a un disperato attaccamento alla vita e all’amore. Sentimenti e riflessioni vengono affidati al diario con il costante e ossessivo timore che “un giudice istruttore” possa violare il segreto delle sue pagine più intime e crude.
Il diario della Berggol’c è dunque una toccante testimonianza della sofferenza intima, inscindibile dalla corale sofferenza di un popolo, di una giovane donna che trova nella scrittura e nell’abbandono a un nuovo amore un confortante antidoto all’angoscia di un’epoca, dalle cui ambigue contraddizioni, tuttavia, come traspare da alcune sue pagine, non sembra essersi del tutto affrancata.
Francesca Gori