“Privare la magia del suo mistero sarebbe assurdo come togliere il suono alla musica”
Orson Welles
“Il diavolo non ha un giusto posto nel cosmo trinitario. Come avversario di Cristo dovrebbe
assumere una posizione antitetica equivalente ed essere parimenti un figlio di Dio. Ciò
potrebbe condurre direttamente a certe vedute gnostiche, secondo le quali il diavolo come
Satana era il primo figlio di Dio, Cristo il secondo. Un’altra conseguenza logica sarebbe
l’abolizione della formula trinitaria e la sua sostituzione con una quaternità. Certo allora non
è più dubbio che di vita comune non respirano solo il Padre e il Figlio luminoso, ma anche il
Padre e la creatura tenebrosa”
Carl Gustav Jung, co-fondatore della psicoanalisi
“Ma lo sanno gli americani che siamo venuti a portare loro la peste?”
Sigmund Freud a Jung
E’ stata dichiarata guerra a Immanuel Kant dalla Clinica Psichiatrica di Pisa: là dove gli illuministi fondarono il Cogito ergo sum, l’Università La Normale di Pisa fonda l’eteronomia del soggetto in antitesi radicale all’Illuminismo. Quid est veritas? Occorre sempre un tertium datur: cioè non assumere posizioni ideologiche, e si vive meglio riducendo al minimo i danni.
C’è una buona notizia in questo nostro mondo dominato dalla tragedia che è propria della vita. Chi scrive ha letto su Corriere 7, alla voce L’incontro di Gian Luca Bauzano – autore dell’intervista al regista Dario Argento – che: “L’obbiettivo della macchina da presa lo percorre, incedendo inesorabile. Il corridoio, specchio di angosce e ossessioni, quelle di Dario Argento. “Riflette le mie paure di bimbo. Accadeva la sera, quando dopo aver mangiato, tornavo nella mia stanza”, svela il regista. Quel corridoio, dalle pareti soffocanti o piene di quadri e finestre, poi è divenuto la cifra stilistica dei suoi film cult. Con le scale. “Sono simboli potenti e Freud insegna. In questi anni l’ho studiato.
Mi ci sono immerso. Aperti orizzonti. La sua psicanalisi? Rivoluzionaria: stravolto il punto di vista di arti e artisti”. Con grande enfasi Argento cita il suo idolo (Freud, ndr). Ribatte. “Però non sono mai stato in analisi”…”.
Ecco il punto. Per fortuna, Dario Argento non è mai stato in analisi. E’ l’unico fatto che meriti di essere menzionato nell’inutile intervista su Corriere 7 (poche cose sono utili a questo mondo): e non gli venga in mente di fare l’analisi freudiana proprio ora! Questo procedimento può portare gli artisti al suicidio: l’argomento è già stato trattato nel saggio “La presunzione della psicanalisi attraverso le parole di Galimberti e Soros – La dittatura e i guasti della psicanalisi”, lì si voleva sostenere che il falso Sé – oh potenze celesti! – si può integrare miracolosamente all’opera d’arte sconvolgendo il panorama dell’umanità, e che è un peccato anti-cristiano “l’indagine dell’inconscio” da parte dello psicoanalista nei confronti del soggetto con temperamento artistico attraverso la razionalizzazione freudiana del falso Io: un ingrediente potente del Genio, che non si realizza mai in modo lineare, ma è l’esito finale – nel suo precario eppure riuscitissimo equilibrio – della totale inconsapevolezza dei processi inconsci da parte del soggetto geniale che è tale perché è l’uomo senza inconscio (dal titolo del libro di Massimo Recalcati).
E’ pertanto inutile tornare sull’argomento già ampiamente approfondito; può essere invece utile, in un riaggiornamento del precedente lavoro, pubblicare su Libertates alcuni passaggi della finta “intervista impossibile” della psichiatra di Pisa Liliana Dell’Osso e del suo collega Riccardo Dalle Luche all’interno del volume L’altra Marilyn – Psichiatria e psicoanalisi di un cold case a Ralph Greenson: lo psicanalista che si trovava a Los Angeles nell’abitazione di Marilyn la sera del 4 agosto 1962, e le cagionò un’iniezione mortale di psicofarmaci ancorchè nell’ambito di un errore medico da omicidio colposo. Orbene, l’elemento interessante della cosiddetta “intervista impossibile” è che gli autori del volume patobiografico Liliana Dell’Osso e Riccardo Dalle Luche assolvono Greenson e la psicoanalisi dal coinvolgimento omicidiario nella morte di Marilyn nell’ambiguità voluta del polytropos delle interpretazioni alla Steven Soderbergh: Marilyn sarebbe morta in realtà per un peculiare background di neuroatipia cerebrale con insufficienza del Talento: che è un’interpretazione accettabile a condizione che si abbracci l’eteros nomos in pregiudizio all’autonomia decisionale del soggetto. In realtà, questa tesi è smentibile categoricamente dalle conclusioni rassegnate dal biografo Keith Badman nel libro “Gli ultimi giorni di Marilyn Monroe”.
Contrapponiamo dunque l’assoluzione post mortem della Liliana Dell’Osso nei confronti dell’allievo di Freud Ralph Greenson all’atto di denuncia di Badman, lasciando il verdetto (come sempre) ai lettori. Perché il cold case della disgraziata Marilyn è certamente complesso, contraddittorio ma risolvibile: Norma Jean Baker è stata, ad avviso di chi scrive, la vittima di una diabolica persecuzione freudiana, e la sua vita sarebbe stata diversa e di lunga durata se ella non avesse accettato la schiavitù psicologica dal dottor Greenson che la mangiò viva, danneggiando la qualità del suo lavoro e poi incorporando l’attrice il 4 agosto 1962: aveva 36 anni quando morì. Freud ha fatto un patto con il diavolo. Affermazione irresponsabile? Ciascuno la pensi sul punto come vuole, ma l’analisi fatta a persone normali, ancorchè frustrante, è innocua: fatta a persone speciali diventa un’arma di potere, una manipolazione da potenziali killer che si rendono conto di poter neutralizzare le difese egosintoniche degli schizofrenici nascosti o dei bipolari. Alcuni dei quali, sono artisti di provato talento. Due su tutti: Glenn Gould e John Nash. Un artista della matematica:
“Liliana Dell’Osso e Ralph Greenson: un’intervista impossibile – Liliana Dell’Osso (LDO): Buonasera… collega?
RALPH GREENSON (RG): Certo collega, benchè la mia fama sia legata al mio lavoro di psicoanalista, sono stato anch’io, come lei, professore di Psichiatria, alla UCLA di Los Angeles. Sono onorato di fare la sua conoscenza e ammirato per la sua presenza (sorride beato)
LDO: (imbarazzata)
RG: Sa, ai miei tempi le poche psichiatre e psicoanaliste di rango che avevamo non erano, diciamo, come lei! Avevano piuttosto l’aspetto delle suore mancate oppure di vecchie ebree moraliste e puritane!
LDO: Grazie Dr Greenson (come stupita) capisco perché lei fosse così amato dalla gente di Hollywood, è un uomo di mondo! (breve pausa) Bene, allora, collega, il motivo di questa intervista, lei lo se lo immaginerà, è legato al fatto di essere stato lo psicoanalista di Marilyn Monroe, un caso che, su mia iniziativa, abbiamo riaperto dal punto di vista scientifico, facendo quella che si dice un’ “autopsia psicologica”, anzi direi meglio “psichiatrica”.
RG: Sì certo, ho avuto in analisi molti attori e pezzi grossi di Los Angeles e di Hollywood in quegli anni, tra i quali la povera Marilyn.
LDO: Conosciamo tutti più o meno bene la storia psichiatrica di Marilyn, un po’ meno la diagnosi come pure le circostanze della sua tragica fine…
RG: (irato) Non mi venga fuori con la storia che l’hanno ammazzata o che l’ho uccisa io con un overdose di farmaci e altre panzane antipsichiatriche e antipsicoanalitiche per favore! Purtroppo era semplicemente troppo grave per gli strumenti terapeutici disponibili.
LDO: Parliamo innanzitutto della diagnosi. Lo sanno tutti che è una delle mie ossessioni, la diagnosi! Anna Freud e, dopo di lei, Marianne Kris ed infine lei eravate d’accordo sul considerarla schizofrenica paranoide marginale…
RG: Sì, io aggiunsi addictive, dipendente. Marilyn dipendeva dall’alcol, dai sedativi, dai suoi amanti o mariti del momento, dalle gratificazioni, dal successo e, soprattutto, dalla fama.
LDO: Drogata di freudismo, direi, sorpresa sul set ad interpretare come lapsus una battuta sbagliata di un attore! Certamente dipendente da lei, sappiamo che nell’ultimo mese di vita l’ha visitata 28 volte, due il 4 agosto, cioè il sabato nella notte del quale è poi morta.
RG: annuisce
LDO: Anzi, se si aggiunge che quella specie di badante che le aveva messo in casa, e che avrebbe dovuto controllarla, chiamò proprio lei, in piena notte, quando si accorse che c’era qualcosa che non andava, quel giorno l’ha vista tre volte!
RG: Non le permetto di fare delle allusioni su questo tragico evento che ha ingiustamente colpito la mia reputazione, offuscato la mia immagine e, soprattutto, dato un duro colpo alla mia fiducia nella psicoanalisi.
LDO: Torniamo alla diagnosi: ciò che non convince, è il fatto che Marilyn fosse schizofrenica.
RG: Vede, all’epoca, tutta la psichiatria, anche quella americana, utilizzava una nosografia derivata dalla Scuola svizzera di Eugen Bleuler del Burgholzli di Zurigo. Io stesso mi sono perfezionato in psichiatria in Svizzera. Ebbene, per Bleuler tutti i pazienti psichiatrici, con l’eccezione degli insufficienti mentali e degli psicopatici in senso sociale, erano schizofrenici di vario tipo: ebefrenici, paranoidi, catatonici, marginali e perfino “latenti”, cioè quelli che non lo erano, ma che avevano qualche tratto o qualche sintomo… come direste voi oggi?
LDO: Diremmo di spettro sottosoglia!
RG: Bene, collega, vede che non è cambiato molto nel modo di ragionare degli psichiatri!
Quindi tutti coloro che avevano tratti autistici, ambivalenza affettiva, disturbi delle associazioni e alterazioni immotivate dell’affettività, le famose 4 A di Bleuler, per noi erano schizofrenici. Marilyn, del resto, era figlia di una schizofrenica finita cronica in manicomio, cosa che la terrorizzaava.
Noi pensavamo che avesse ereditato la malattia materna in una forma più lieve, che non comportava quasi mai la presenza di allucinazioni e deliri…
LDO: … per almeno sei mesi di seguito come prevedono i criteri del DSM III in avanti per fare diagnosi di schizofrenia…
LDO: Lo sa che un suo successore, un famoso psicoanalista di oggi, Glenn O. Gabbard, che ha revisionato centocinquanta casi di trasgressione del setting nel trattamento psicoanalitico, mette in guardia dal prendere in analisi pazienti suicidari, in sostanza perché si innescano invariabilmente dinamiche di amore e morte che fanno perdere la lucidità all’analista, fanno collassare la sua capacità di mentalizzare e lo trascinano in una sorta di folie a deux?…”.
In sostanza, Greenson e Dell’Osso – nella finta intervista – concorderebbero quasi interamente sulla diagnosi di schizofrenia a carico della Monroe, abbracciando cinicamente l’eteronomia del soggetto: Marilyn sarebbe stata una paziente tanatotropica incompatibile con il Cogito ergo sum e destinata a morire per malattia mentale. E’ veramente così? Parliamoci chiaro: per parafrasare Mario Draghi alla Lezione Conoscenza, coraggio, umiltà, “la realtà è per sua natura ambigua e complessa”. Oltretutto, come abbiamo visto per Liliana Dell’Osso, Marilyn non avrebbe fatto nemmeno l’analisi in senso classico in quanto incompatibile ab origine con un trattamento psicoanalitico.
Per il biografo Keith Badman, esiste però un’altra verità: il complotto freudiano di Ralph Greenson e Anna Freud, dentro il quale l’attrice – che aveva sicuramente tratti schizofrenici dietro la facciata del suo successo – morì intrappolata sviluppando una vera e propria psicosi maniacodepressiva di pari passo all’indagine pericolosissima dei suoi processi inconsci, promossa da operatori della salute psichiatrica sociopatici drogati di ideologia elevata al rango di scienza: l’Inconscio come “primum movens” a costo di aprire in due il paziente; non solo: Marilyn non era dipendente dall’alcol prima di sottoporsi al trattamento psicologico, ma lo divenne in seguito per lenire le insopportabili frustrazioni, e allora cominciò a stare male per davvero mentre prima dell’analisi aveva solo dei sintomi bipolari curabili con un buon trattamento farmacologico. Dal libro “Gli ultimi giorni di vita di Marilyn Monroe” di Keith Badman: “Era chiaro che questo genere di terapia non faceva per lei; anzi, le sconvolse completamente la vita. I fatti parlano da soli: prima di entrare in analisi. I fatti parlano da soli: prima di entrare in analisi, Marilyn recitò in ventisette film nel giro di otto anni; dopo, in quello stesso arco di tempo ne realizzò solamente sei. Nei ventiquattro mesi seguenti la sua personalità venne smontata pezzo per pezzo e riassemblata. La dottoressa Hohenberg analizzava i suoi sogni, la coinvolgeva in giochi di libere associazioni e, per alleviare l’intensa sofferenza emotiva e il potente, soverchiante senso di disperazione che la affliggevano, le prescriveva dosi sempre più pesanti di barbiturici. L’attrice iniziò a rimettere in discussione, uno dopo l’altro, tutti gli aspetti della propria vita”.
Marilyn prese a consumare quantità sempre maggiori di farmaci (eccitanti per tenersi su durante la giornata e calmanti per combattere l’insonnia la sera) e alcolici: una combinazione potenzialmente catastrofica per una persona piena di ansie e probabilmente affetta da sindrome maniaco-depressiva…”.
Ps – Dario Argento, per fortuna, non ha fatto una fine così terribile e continua a girare i suoi film, belli o mediocri che siano: sua figlia Asia, invece, sul lettino di Freud pare che ci sia stata… Un appello agli affezionati lettori di Libertates, cui si augura un’ottima estate: non andate in analisi.
Siate liberi di essere misteriosamente voi stessi. Povera Marilyn, mediocre e geniale insieme.
di Alexander Bush