No, non stiamo parlando di oscuri complotti, interventi esterni più o meno palesi, stiamo parlando di qualcosa che è ben chiaro, visibile e incombente, ma di cui non si è parlato in questa campagna elettorale; il debito dell’Italia.
Tutti i principali candidati hanno promesso cose mirabolanti: si direbbe che l’Italia dovrebbe diventare una specie di Paese di Bengodi: reddito di cittadinanza per tutti, pensioni anticipate, riduzione di tasse, niente canone TV, niente tasse universitarie anche per i ricchi, flat tax, bonus anche per animali domestici o nipoti di non autosufficienti…
Non esiste in apparenza limite alle promesse più mirabolanti con relativi costi da capogiro: abolire la Fornero costerebbe 30 miliardi all’anno, il reddito di cittadinanza almeno 50, dei vari bonus non si riesce a calcolare l’impatto tanto sono numerosi, la flat tax al 23% prevede un buco di 30 miliardi nelle entrate ecc ecc
Ma come si farà a coprire queste spese? Tutto è lasciato nel vago: chi propone di andare a Bruxelles “a piantare i pugni sul tavolo”, chi di uscire dall’euro, tutti propongono il rimedio “assoluto” che non ha mai funzionato: ridurre l’evasione.
In pratica il risultato di tutte queste operazioni dovrebbe essere uno solo: quel “deficit spending” di keynesiana memoria (e da sempre tradotto dai politici italiani in “adesso spendiamo e al deficit ci penseremo poi”) che è il retropensiero di tutte queste promesse elettorali; togliamoci dai vincoli, dalle ingiuste pastoie dei vari “fiscal compact”, limite al deficit, controllo delle spese e diamoci alla pazza gioia, spendiamo e facciamo debiti, vinciamo le elezioni; a pagare ci penseranno altri più avanti.
Ma su tutto questo modo di agire grava un’ombra enorme e minacciosa: il debito pubblico che, nonostante gli sforzi degli ultimi anni (dobbiamo riconoscerlo), continua seppur lentamente a salire.
Ormai siamo a 2300 miliardi di euro: in altre parole ognuno di noi (dal neonato al centenario, dal ricco all’emarginato grave) ha sulle spalle un debito di 35,000 euro.
E le prospettive sono tutt’altro che rosee; dopo anni di tassi bassissimi che ci hanno permesso di dimezzare il costo degli interessi ci si presenta dinanzi uno scenario abbastanza cupo: tra quantitative easing che terminerà a breve ed economie in ripresa i tassi di interesse sono destinati a salire e questo è per l’Italia un costo sicuro e notevole; inoltre chi sarà disposto a prestare soldi a un Paese che non riesce ad uscire dalla spirale del debito, dell’inefficienza e dell’instabilità lo farà a interessi sempre più alti.
È una considerazione banale: qualsiasi investitore, anche italiano, preferirà investire in titoli tedeschi (sicuri) che in titoli italiani (a rischio) a meno che l’Italia non offra un interesse più alto. E anche questo sarà un costo non da poco.
Di fronte a tutto questo una vis d’uscita ci sarebbe: tagliare i costi della burocrazia e della macchina dello Stato.
- Perché non si fa cenno alla necessità di sfoltire il groviglio di leggi, regolamenti, permessi che soffoca la nostra industria creando costi impropri e allontanando investitori esteri spaventati dalle complessità e dalle zone grigie della burocrazia?
- I centri di spesa sono in Italia più di 32000: una massa impossibile da controllare anche a posteriori se non attraverso una mastodontica struttura burocratica atta più che altro a creare un numero infinito di passaggi formali: perché non tornare a quando i comuni decidevano cosa fare, trovavano i finanziamenti, ma poi i lavori erano appaltati dal Genio Civile?
- In Italia abbiamo più di 8000 comuni: da anni (decenni!) si parla di ridurne il numero per tagliare costi, poltrone e complessità burocratiche: nel vicino Canton Ticino in tre anni i comuni sono passati da 132 a 32, eppure loro hanno meno problemi di noi. Perché da noi non si fa nulla?
Forse perché a promettere cose mirabolanti non costa nulla, mentre tagliare e parlare di debito sono cose noiose e particolarmente fastidiose per chi di questa burocrazia prospera?
Finché tagli e risparmi ce li imporranno BCE e Unione Europea. Ma allora potremo sempre parlare di complotti e ingerenze esterne in quel Paese di Bengodi che è l’Italia della propaganda elettorale
di Angelo Gazzaniga