“Taci, anima ignara: tu in estasi rapita, / tu dal riso di bimba ! Non sai ? Più che alla vita, / alla morte legati siamo indissolubilmente” ( XL. Semper eadem, trad. Bufalino de I fiori del male, Milano 1983, pp. 74-75 ) “Taisez-vous, ignorante ! ame toujours ravie !”
L’appello al cuore, in Baudelaire. Si pronunzia, così, il richiamo agli antichi spiriti: – ben più che nella specchiata descrittiva manzoniana dell’attraversamento dell’Adda –, come quel dibattimento interiore che, per essere il più lancinante, non smette la propria trasparenza nel riscatto della poesia, sollevando all’incantamento del sublime un mondo che inclina sull’orlo del precipizio e della disperazione. Ecco quel che, in forma sempre nuova, s’impone nella lettura del complesso e vigilato ordito de Les fleurs du mal (onde rinvio ai saggi di Notre infini e La ‘douceur’ chez Baudelaire, una delle ‘postille’ – quest’ultima – al Vivente originario ).
Ma in rapporto a che cosa, piange l’anima ed urla il proprio dolore ? All’ “urlo che sale dalla via”. “Urlava attorno a me la via, senza pietà” ( A une passante: “La rue assourdissante autour de moi hurlait”: op. cit., pp. 172-175 ). Onde, in Le crépuscule du soir ( XCV, Il crepuscolo della sera, pp. 178-179 ): “Recueille – toi, mon ame, en ce grave moment, / Et ferme ton oreille à ce rugissement. / C’est l’heure où des douleurs des malate s’aigrissent !”. Ossia: “Chiuditi in te in questo solenne attimo, o mia / anima; ignora l’urlo che sale dalla via. / Questa è l’ora che accresce gli spasimi del male”
Ora, componendo passato presente avvenire nell’orizzonte della “comprensione”, che vuol dire oggi: “l’urlo assordante che sale dalla via ?” L’urlo che sale dalla via, assediando le anime e imponendo loro il duro esercizio del raccoglimento, è tutt’insieme, o alternativamente: violenza, aggressione, occupazione; ma anche ogni sorta di gelosia o invidia; protesta e attentato eppure ‘diktat’ di banchieri sparvieri; ondate di fangosa futilità, scambio dell’effimero per l’eterno; trasgressioni vere o fasulle, costruite a tavolino à la Luciana; falsi libertini ignari del motto di Jonathan Swift “Il libero pensatore deve essere virtuoso perché è odiato da tutti” ( infatti, he thinks too much, dice Shakespeare di Bruto e Cassio nel Julius Caesar ). Oppure, invadenza mediatica di tanti conduttori dall’ebete sorriso; tribuni della plebe profumatamente retribuiti; sopracciliose interrogatrici e retori del complotto déditi al controcanto “di ruolo” ed a controversialità d’occasione. Chi più ne ha, più ne metta: moralisti dell’immorale, pretesi notai, falsi professori; falsi odontotecnici e falsi dottori; saltimbanchi e giocolieri del nulla; faccendieri e profittatori; testimoni di disvalori spacciati per valori; vandali in casa con la pretesa di esser premiati sul luogo di lavoro. E le cocolle sacca ben piena di farina ria. Tutto questo, e altro ancora, può ben essere oggi “l’urlo che sale dalla via”: assordante e insistito, da esigere la ritrovata risorsa interiore allo spirito, “notre infini”. “Notre infini sur le fini des mers” ( Le voyage ). Mentre: “Nous avons dit souvent d’impérissables choses” ( canta il poeta nel primo inno a Mariette de Le balcon) Tutto questo, e altro ancora, da non ammettere sconti per quanti amano far propria la lezione tracciata una volta per sempre nella poesia del Baudelaire, acuto censore (come, per altri versi, il coevo Gustave Flaubert ) delle idées reçues . Precisamente: “Eccettuati Chateaubriand, Balzac, Stendhal, Mérimée, de Vigny, Flaubert, Banville, Gautier, Leconte de Lisle, tutta la gentaglia moderna mi fa orrore. I vostri accademici, orrore. I vostri liberali, orrore. La virtù, orrore .Il vizio, orrore .Lo stile scorrevole, orrore. Il progresso, orrore. Non parlatemi mai più di chi non dice nulla”( dalla lettera testamentale al notaio Ancelle del marzo 1866).
In eminente esempio: “I vostri accademici, orrore. I vostri liberali, orrore”. Come dire, le varie réchauffées a proposito di “Verità e relativismo” del professore Severino, in polemica con il relativismo popperiano ma anche cristiano dell’Antiseri, cui l’accademico/antiaccademico allude. Orrore ! Sì che è forte a veder qual più si falli ! Come se, per un verso, il “divenire” risponda soltanto a “volontà di potenza”, legge di accumulo puramente quantitativo, e non alla riqualificazione del positivo, del “distinto” modo di essere in cui perennemente si converte il “non essere”; e non ci sia, d’ altro canto, l’apriori, il trascendentale, che, senza escludere l’oggettività del reale, ne costituisce la conoscibilità mercé le categorie. Urla, allora, urla la via, immersa nelle cortine fumogene di comunicazioni inautentiche, come da superfetazioni intasata ! Risposta a entrambi i modelli relativistici, ontologico o epistemologico, è insita nella conversazione, e nella ermeneutica che ne deriva, d’impérissables choses. E non parlatemi mai più di chi non dice nulla !
Giuseppe Brescia