Valerio e Lyana, due verità sugli immigrati (ed emigrati)

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Non è così semplice parlare di immigrazione ed emigrazione. Ce lo dimostra “Ballando sulle ceneri ardenti” di Lyana Galis

Ho sentito questa storia casualmente, alla radio: un certo Valerio, di Roma, ventottenne, raccontava la sua vicenda d’immigrazione. Ha lasciato il Belpaese, dove lavorava per l’Alitalia, e se n’è andato in Olanda. Ha fatto il muratore, per un po’, poi il lavapiatti e ora fa pasta fresca guadagnando circa quattromila euro al mese. E se questa è una storia, detto altrimenti una goccia in un grande mare, ISTAT raggruppa le gocce e sostiene che l’Italia nel 2014 ha avuto più emigranti che immigranti.
A stupirmi, però, non sono state le vicissitudini di Valerio o i dati ISTAT, bensì la reazione di uno degli speaker della radio. Era indignato dalla situazione che si sta verificando in Italia. Anzi, si definiva sconvolto dalle poche possibilità che l’Italia offre ai suoi laureati. Cose da altro mondo!
Sì. Cose da altro mondo… Non dell’aldilà, però. Altro mondo: secondo, terzo. Ora, anche primo.
Questo, però, è lo sguardo negativo su una situazione. La medesima vicenda di Valerio può essere vista anche come scelta. Amava cucinare – lo ha dichiarato l’interessato – e in Olanda ha avuto modo di sfruttare una sua passione per guadagnare più di quanto avesse potuto guadagnare in Italia. Detta così, però, crolla il sensazionale.
Di storie d’immigrazione ne conosco a bizzeffe e, forse, non potrebbe essere altrimenti essendo io stessa un’immigrata. Ce n’è una in particolare, però, che merita di essere raccontata, o meglio, segnalata. L’ha raccontata già l’autrice, Lyana Galis, una delle primissime scrittrici romene ad aver pubblicato in Italia.
Della storia personale di Lyana, basta sapere che è arrivata in Italia nel ’72, quando il regime comunista non dava spazio alle scelte. Se non ti piaceva vivere al di là della cortina di ferro, era un problema tuo. Lyana è uno dei pochi cittadini romeni che hanno avuto la possibilità di lasciare la Romania e raggiungere l’Ovest. A un prezzo, ovviamente.
Del prezzo da pagare imposto dall’immigrazione senza vie di ritorno, Lyana ne parla nel suo ultimo romanzo Ballando sulle ceneri ardenti, presentato di recente a Milano e ben accolto dal pubblico. Il prezzo è questo: diventi straniero, in patria e oltre i suoi confini.
Anna, il personaggio che narra la propria vicenda tra le pagine di Ballando sulle ceneri ardenti, è, inizialmente, una bambina che vive coi nonni, così come accadeva ai tempi in cui la parola babysitter non faceva ancora parte del lessico quotidiano. I genitori sono due studenti pieni di entusiasmo che riescono a raggiungere un’ottima posizione sociale per garantire alla figlia il miglior futuro possibile. Infatti, appena hanno modo, si portano la piccola nella nuova casa. Il trasferimento è un piccolo strappo per Anna, il primo di una serie, più o meno grandi, fino a quello definitivo dell’immigrazione.
Sotto il regime di Ceausescu, se lasciavi la patria diventavi un altro. Il nemico. Un altro eri, per definizione, anche nella patria d’adozione. Anna non è immune a questa equazione migratoria.
Lungi dal pensare al romanzo Ballando sulle ceneri ardenti come a uno sull’immigrazione toutcourt. Volendo racchiuderlo a tutti i costi in una categoria, starebbe meglio tra i Bildungsroman, con annesso lo strappo dell’immigrazione. E, in quest’ottica, è uno stimolante punto di partenza per la riflessione attorno alla formazione dell’io femminile, così complesso da spingere Nietzsche, per esempio, ad affermare che la filosofia stessa debba avere animo femminile, spiegandosi così il motivo per cui rimane criptica agli occhi di tanti.

Irina Turcanu

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