il Comune di Roma, e soprattutto le aziende municipalizzate che da esso dipendono, sono in una situazione fallimentare: debiti pregressi, deficit di bilancio, incapacità di trovare rimedi, spese correnti fuori controllo eccetera (insomma, la tipica situazione in cui si trova la maggioranza delle municipalizzate italiane).
La sua principale controllata, l’ATAC, ha un debito di circa 2,5 miliardi, un bilancio cronicamente in rosso, servizi sempre più scadenti (circolano a Roma 80 tram su 150 per mancanza di manovratori; ci sono problemi nel sostituire le gomme usurate dei bus; per non parlare di acquisto di nuovi mezzi…).
Il funzionamento dell’AMA (l’Azienda di raccolta dei rifiuti) è simile: in tutta la città si moltiplicano le denunce per rifiuti non raccolti, sporcizia che invade anche le strade del centro, raccolta differenziata in alcuni quartieri che nessuno mette in atto…
Tutto ciò è dovuto a una gestione delle aziende municipali dissennata, clientelare, preoccupata solamente di piazzare i propri amici nei posti di responsabilità, di far assumere parenti o protetti, giunta al punto di emettere biglietti doppi per centinaia di milioni con relativo giro di finanziamenti in nero.
E’ palese che una simile situazione non poteva non essere a conoscenza dei dirigenti. Eppure questi stessi dirigenti rimangono ai loro posti o, se sono stati allontanati, ciò è avvenuto con laute buonuscite (vedi il caso dei biglietti falsi emessi dall’ATAC…).
E‘ altrettanto evidente che non è possibile lasciare che la situazione degeneri a tal punto da impedire il funzionamento di un servizio essenziale per la città quale il trasporto pubblico o la raccolta dei rifiuti.
Altrettanto ovvio che situazioni del genere portino ad un distacco dei cittadini dalla politica e dalla cosa pubblica ancor più sensibile: in questi casi l’inefficienza non è qualcosa che debba essere denunciata dai mass media; la si tocca con mano…
Che fare allora?
La soluzione esiste ed è stata prevista, in un certo senso, quando si sono trasformate le aziende municipalizzate in aziende di diritto privato..
Tale riforma (che consiste essenzialmente nel trasformare le municipalizzate in SpA di diritto privato) fu presentata come un deciso passo avanti verso la modernizzazione degli enti territoriali: niente più aziende con bilanci opachi, nomine decise dai partiti, nessuna responsabilità degli amministratori; ma aziende simili a quelle private: bilanci trasparenti e chiari per tutti, amministratori nominati dall’assemblea (in questo caso i Comuni), responsabili delle proprie azioni verso la proprietà, procedure privatistiche in caso di incapacità di funzionare (concordato preventivo, amministrazione controllata, fallimento).
In effetti poi queste società si sono comportate come prima: poca trasparenza, nessuna responsabilità, rivelandosi semplicemente un mezzo per aumentare le poltrone di consigliere o di presidente.
Sbagliata la riforma o l’applicazione? La risposta, come è ovvio, è la seconda. Sarebbe sufficiente agire nei confronti di queste società come è previsto dal Codice Civile in caso di società insolventi: azione di responsabilità verso gli amministratori, amministrazione controllata e (in caso di situazione ingestibile) fallimento.
Questo dovrebbe significare due cose.
I servizi forniti ai cittadini non vengono comunque meno; una diversa società continua a fornirli ai cittadini utilizzando la parte “sana” della società fallita (ne abbiamo avuto esempio in Italia con i fallimenti del Banco Ambrosiano e dell’Alitalia).
Sono i veri responsabili del dissesto a dover rispondere: gli azionisti (cioè il Comune), i dirigenti (che verrebbero riassunti solo nel numero necessario e se non compromessi con le precedenti malefatte), i sindaci a cui il curatore fallimentare potrebbe (e dovrebbe) chiedere conto del loro operato, i dipendenti (che verrebbero riassunti se effettivamente necessari e non se amici o parenti o amanti…)
In questo modo si avrebbe, a costo zero (altro che “spending review”!) un’autentica svolta virtuosa nei comportamenti, un esempio di chiarezza e di buona gestione: gli aiuti andrebbero ad una società nuova che riparte da zero e pagherebbero i veri colpevoli e non i soliti, i cittadini incolpevoli e tartassati.
Altrimenti avremo di nuovo gli spettacoli a cui ci hanno abituato i vari responsabili dei Comuni (di tutti i colori politici: a Roma si sono succeduti Veltroni e Alemanno…) e che continuiamo a vedere ora con Marino. Dichiarazioni roboanti “che tutto cambierà”, impegno a un controllo diretto e personale (come se fosse compito di un sindaco di una città di 3 milioni di abitanti verificare i biglietti dei bus o controllare lo svuotamento dei cassonetti!), salvo non cambiare nulla perché prima o dopo arriverà un altro decreto “salva Roma” a carico dello Stato (cioè di tutti noi) .
Angelo Gazzaniga