VOLODYMYR ZELENSKY E’ NELLA MANIA: MA L’OCCIDENTE E’ PRIGIONIERO DELLA SUA SINDROME, E NON E’ UNA BELLA NOTIZIA – Ma è improprio dire che è bipolare. E’ maniacale

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“Per quel che mi riguarda oggi il problema di questa guerra si chiama Zelensky”
Paolo Inzerilli, ex comandante di Gladio e Capo di Stato maggiore del Sismi

Si intravede l’exit strategy di un negoziato, speriamo solo che non sia una replica del patto di
Monaco

A mio modesto avviso è ormai tempo di sostituire l’era della Ragione con l’era della Fallibilità – da una lite di condominio alle controversie internazionali – come è stato indicato da George Soros nel programma della Opening Society, alla luce della gravissima crisi ucraina che ha un solo precedente altrettanto importante: la crisi missilistica di Cuba dell’ottobre del 1962, che tra l’altro – al margine del terzo conflitto mondiale che si sarebbe rovesciato in un olocausto nucleare – era collegata “eziologicamente” al malaffare (denunciato dal grande regista Roberto Faenza nel suo libro Il malaffare) della famiglia Kennedy la quale chiese i voti a Cosa Nostra di Sam Giancana.
Poi Jfk eletto Presidente anche con il voto dei morti, dovette organizzare una sciagurata invasione dell’isola di Cuba per riportare la mafia al potere con la destituzione di Fidel Castro: lo sbarco alla Baia dei Porci del 17 aprile 1961 fallì miseramente, e un impaurito Kennedy che per ammissione dello stesso Gianni Bisiach non comprendeva la “reale macchina del potere” negò la copertura aerea al fanatico e irresponsabile (non meno di Jfk) Allen Dulles, fratello di John Foster Dulles; non è propria una bella storia, la cui scabrosità legata al tramonto della civiltà occidentale compare anche nella magistrale pellicola “The Irish man” del regista dalla intrinseca razionalità ebraica Martin Scorsese e nel volume cinico di James Ellroy “American Tabloid”.
Infatti è riduzionistico e distorsivo vedere Nikita Krusciov, già protagonista della lungimirante destalinizzazione dell’Urss avviata dopo la morte di Stalin, come un pazzo scatenato che si sveglia una mattina e ordina l’installazione irrazionale di testate missilistiche nell’isola di Cuba a difesa di Fidel Castro; Kennedy era un uomo intrinsecamente contraddittorio, che soltanto un anno dopo avrebbe pagato con la morte violenta a Dallas nel Texas i suoi comportamenti da gambler spericolato rimasto incastrato tra le porte girevoli del “mondo di mezzo”.
La realtà è ambigua e complessa, e solo i fanatici non ne accettano la complessità.
Nel suo importante volume “Kennedy shock” edito da Kaos edizione, Lanfranco Palazzolo rileva quanto segue nel capitolo “La Baia dei Porci e il rischio atomico”:
“Dopo la vittoria della rivoluzione cubana di Fidel Castro nel gennaio del 1959, le forze reazionarie statunitensi erano intenzionate a soffocare sul nascere il regime comunista dell’Avana. All’inizio del 1961 l’amministrazione Kennedy e la Cia ultimarono in gran segreto la preparazione della “Operazione Zapata”, decisa nel luglio 1960 dall’amministrazione Eisenhower. Circa 1.500 esuli cubani, addestrati e supportati da forze statunitensi, sarebbero sbarcati nottetempo nella Baia dei porci, avrebbero conquistato la parte sud-ovest di Cuba, e alimentando un’insurrezione avrebbero rovesciato con un golpe il regime comunista dell’Avana. Il piano – una proditoria aggressione militare gravida del pericolo di incendiare la guerra fredda innescando un conflitto bellico mondiale – era la negazione pratica delle promesse elettorali kennedyane della “Nuova frontiera” di pace e distensione internazionale.
In origine, il progetto golpista a L’Avana comprendeva un attentato alla vita del dittatore cubano Fidel Castro: operazione affidata a Otto Skorzeny, l’ufficiale nazista austriaco che nel 1943 aveva liberato Benito Mussolini dalla prigionia a Campo Imperatore.
L’uccisione di Fidel Castro per mano di Skorzeny era chiamata in codice “Tropikal Project”…
In seguito alla fallita invasione della Baia dei porci organizzata dagli Usa, il regime castrista dell’Avana chiese e ottenne dall’Urss un aiuto speciale e grave: la fornitura e l’installazione a Cuba di batterie di missili nucleari. Quando gli aerei spia americani scoprirono i missili sovietici, il 14 ottobre 1962, il presidente Kennedy ordinò il blocco navale dell’isola, mentre in Florida venivano dislocate truppe per una possibile invasione militare di Cuba. Alcuni sommergibili sovietici furono bloccati dalle navi da guerra americane nelle acque prospicienti l’isola. Per alcuni giorni il mondo restò col fiato sospeso davanti al concreto rischio di un’escalation che causasse lo scoppio di una guerra atomica. Il 22 ottobre il presidente Kennedy parlò alla nazione: (ma il discorso era stato scritto da Theodor Sorensen: lo charme di Jfk era di avvalersi di “ghost writers” alla Schlesinger, ndr):
“Quel segreto, rapido ed eccezionale impianto di missili comunisti (a Cuba, nda), in un settore che notoriamente ha un particolare e storico rapporto con gli Stati Uniti e con le nazioni dell’emisfero occidentale, in violazione delle assicurazioni sovietiche e a sfida aperta della politica americana e dell’emisfero, questa improvvisa, nascosta decisione d’impiantare per la prima volta armi strategiche fuori dal territorio sovietico è un mutamento dello statu quo volutamente provocatorio e ingiustificato, che non può essere accettato da questo paese, se ancora, amici e nemici, debbano mai confidare nel nostro coraggio e nei nostri impegni…
Miei concittadini: nessuno abbia dubbi sulla difficoltà dell’impresa cui ci siamo attinti. Nessuno può prevedere con esattezza quale sviluppo prenderà o a quale costo o a quali perdite porterà.
Ci attendono molti mesi di sacrificio e di autodisciplina, mesi nei quali la nostra pazienza e la nostra volontà saranno messe l’una e l’altra alla prova, mesi nei quali molte minacce e accuse ci faranno consapevoli dei nostri pericoli. Ma il massimo pericolo, fra tutti, sarebbe quello di non fare nulla. La strada che abbiamo scelto per il momento è piena di rischi, come tutte le strade, ma è quella che è più coerente al nostro carattere e al nostro coraggio di nazione, e ai nostri impegni nel mondo…”…
La ragionevolezza del leader sovietico Nikita Krusciov permise una rapida e incruenta soluzione della crisi. Precisato che l’installazione dei missili a Cuba aveva una finalità di deterrenza, il leader sovietico propose l’immediato ritiro dei missili dall’isola in cambio dell’impegno ufficiale degli Usa a non invadere Cuba, né direttamente né per interposti esuli.
Il 20 novembre il presidente Kennedy accettò la proposta e ordinò la fine del blocco navale”.
Prezioso è il contributo di Lanfranco Palazzolo, una voce fuori dal coro.
Tra l’altro Jfk, nell’aprile del ’61 in piena gestazione della Baia dei Porci, si buttò piangendo tra le braccia della moglie Jacqueline Bouvier, salvo poi chiedere successivamente alla fidanzata di Sam Giancana Judith Campbell Exner di dargli manforte sul letto matrimoniale di Jacky alla Casa Bianca: non posso non rilevare una inquietante contraddizione tra l’uno e l’altro comportamento.

Veniamo così alla crisi dell’Ucraina.
Concordo completamente con Vittorio Feltri, che è uno degli eredi di Indro Montanelli nel suo amore per i “paradossi alla Glenn Gould”, e cioè il cosiddetto pensiero bugiardo (che era anche il tratto di Indro): “Zelensky costringe il suo popolo a sofferenze inenarrabili e ha qualcosa che non va nel cervello”.
Per quanto riguarda l’invasione dell’Ucraina nelle modalità spiccatamente antisociali che l’hanno caratterizzata, Putin è sic et simpliciter ingiustificabile: ma – l’ho già scritto nel precedente dossier sulla Russia vista da George Soros – essa è causalmente collegata al famoso discorso dello zar Vladimir del 21 febbraio in cui si identifica tra gli stati misti con Nicolay Vladimir Lenin, prima di dare inizio all’attacco: stiamo parlando di una alterazione del senso della realtà nella liaison tra frustrazione e eccitazione che peraltro è stata analizzata dal raffinato commentatore Sandro Modeo sul Corriere della Sera alla voce “Putin è razionale o psicopatico? La metamorfosi del leader di Mosca” che è un profilo patobiografico di notevole spessore.
Il lucidissimo Michail Chodorkovskij, ex proprietario della Yukos condannato a 14 anni per reati fiscali (commessi), oggi a Londra dichiara: “Putin ragiona come un esponente della criminalità organizzata, ma nell’Occidente voi non lo capite”. Detto dall’ex collega di Boris Berezovskij…
Ciò detto, Volodymyr Zelensky non sta bene e molti se ne sono accorti.
Che cos’ha il presidente dell’Ucraina che non va?
E’ nello stadio della mania, cioè dell’esaltazione maniacale – mettendo a rischio la vita dei suoi familiari e del popolo ucraino oltre che la stabilità dell’intero Occidente (sic!), sottoposto al ricatto putiniano di una guerra nucleare.
Zelensky sta letteralmente giuocando con il fuoco, con un comportamento che è tecnicamente paragonabile al gesto dell’assassino dell’arciduca Ferdinando a Sarajevo nel 1914, e che diede
origine allo scoppio della Prima Guerra Mondiale; tra l’altro è verissimo quello che ha detto Massimo Cacciari sul punto, nel realismo kissingeriano che lo caratterizza: “Nessuno voleva la Prima Guerra Mondiale, si trovi una soluzione negoziale”. Ed è un motivo in più per dare ragione al filosofo George Soros: l’Illuminismo non si è dimostrato all’altezza delle sue spropositate ambizioni, e dobbiamo avere l’umiltà di riconoscere che la nostra comprensione del mondo è “intrinsecamente imperfetta” essendo la Ragione valida come principio generico ma non come principio tout court.
Infatti dall’articolo pubblicato su Libero Quotidiano.it – di cui però non è noto l’autore – titolato “Volodymyr Zelensky apre il fuoco sul Parlamento ucraino: “Sicuri che sia un eroe?”, apprendo un elemento che getta una luce inquietante sulla malattia mentale di Zelensky che non è corretto definire bipolare – la penso sul punto come la psichiatra accademica Liliana Dell’Osso, erede di Cesare Lombroso che ha smentito la leggenda metropolitana sul cosiddetto mito del “disturbo bipolare nella leadership politica” – , ma è giusto invece ritenere maniacale: c’è una differenza di margine tra le due dimensioni.
Infatti il disturbo bipolare altrimenti noto come psicosi maniaco-depressiva è al solito incompatibile con una carriera politica ad alto funzionamento: “Almeno a livello comunicativo il presidente ucraino Volodymyr Zelensky sta stra-vincendo la sfida col cupo Zar Vladimir Putin. Anche nei suoi video-messaggi più drammatici, non mancano accenni ironici, da showman consumato. E come ricorda anche Il Giornale, sull’onda (disperata) della guerra la sit-com che l’ha lanciato in politica, Sluha Narodu (“Servitore del popolo”, nome poi diventato quello del suo movimento), è destinata a diventare un caso mediatico in Gran Bretagna, in Francia (i primi episodi trasmessi da Arte.tv hanno raccolto 1,1 milioni di visualizzazioni, l’80% nell’ultima settimana), in Grecia. A gestirne i diritti è la società di Stoccolma Ecco Rights, in trattativa ora con Mbc, tra i principali canali satellitari del mondo arabo.
“Per il momento dall’Italia non abbiamo richieste concrete mentre stiamo trattando con le maggiori piattaforme digitali – spiega Fredrik af Marlmborg, managin director –, Una, Netflix per 4 anni è stata titolare di diritti. Da tempo abbiamo rapporti con Kvartal 95, la società di produzione fondata da Zelensky. Ci diceva sempre, scherzando, che c’era già un esempio importante di attore diventato presidente, Ronald Reagan. Ma tutto quello che è accaduto dopo ci sembra incredibile. Oggi non si tratta di fare affari e non vogliamo guadagnarci ma cerchiamo di sostenere la battaglia di un popolo”. E c’è chi ricorda una scena drammaticamente premonitrice: nella sit-com, Zelensky sogna di entrare in Parlamento e aprire il fuoco con due fucili mitragliatori sugli onorevoli oppositori. Spari diventati la realtà quotidiana”.
Sempre all’interno del suddetto articolo su “Libero Quotidiano.it”, leggo un commento lucidissimo di un politico francese che appare in aperta sfida del politically correct: “Sicuri che sia un eroe?”, si è domandato sui social Florian Philipot, ex esponente del Front National. Un commento travolto dagli insulti, talmente tanti da costringere Philipot a cancellare il post.
In Francia i telespettatori hanno già deciso”.
Orbene, due considerazioni s’impongono subito:
i film cui ha partecipato l’attore Zelensky che recita a tempo pieno – ora in evidente manierismo stereotipo, con i suoi vestiti militari e la drammatizzazione in stato eccitatorio della situazione in Ucraina per riprogettare la realtà (sic!) – sono mediocri, ma ora rimontano alla grande grazie al “trucco dell’icona” che sostituisce la persona. Concordo con Barbara Prato; in un capitolo fondamentale dell’impressionante patobiografia “L’altra Marilyn – Psichiatria e psicoanalisi di un cold case” edita da Le Lettere “Essere un altro: la maschera, il doppio, l’attore”, gli autori Riccardo Dalle Luche e Liliana Dell’Osso parlano del fatto che il comportamento recitatorio messo in scena con modalità istrionica – come nel caso di Volodymyr, “aurea mediocritas” – non è una scelta, ma è l’unica modalità d’essere del soggetto prigioniero del suo stesso agire; tra l’altro Ronald Reagan rischiò di essere ammazzato.
Nel caso in cui – auguriamoci che non accada – i sicari di Putin riescano ad arrivare a sequestrare l’ambitissima preda, il nostro showman consumato potrebbe arrivare a perdere la maschera sconfessando in maniera clamorosa tutta la sua recitazione tecnicamente attoriale di adesso: nel ruolo di martire alla Giacomo Matteotti.
Attenzione: perché si tratta di finzione tout court, come dimostrano i messaggi video di Zelensky dove lo sfondo è artificiale corretto con la post-produzione: è più vero che se fosse vero, direbbe Indro Montanelli.
C’è un precedente, al riguardo.
Quando le Brigate Rosse sequestrarono in un’azione spettacolarizzante da manuale della guerriglia Aldo Moro il 16 marzo 1978 a Roma, il segretario nazionale della Democrazia Cristiana sconfessò fin da subito la politica del “compromesso storico” e cadde vittima della sindrome di Stoccolma con i carcerieri nella “prigione del popolo”.
Auguriamoci davvero che lo stesso non accada al nemico di Putin!
A quel punto tutti direbbero con una punta di malizia: “Ma allora era un attore! Era solo un comico!”.

Nell’intervista concessa all’agenzia Adrkronos, una persona autorevole come il generale Paolo Inzerilli, Capo di Stato maggiore del Sismi per la bellezza di 12 anni e comandante di Gladio “Stay-behind”, letteralmente “stare dietro” per impedire una possibile invasione dell’Italia da parte dell’Unione Sovietica, fa una ricostruzione erasmiana per lucidità sulla reale genesi della crisi ucraina: “Questa volta sto più con Putin che con Zelensky. Credo che nessuno possa avere dubbi sul mio sentimento anti-russo. Io ho due pallini, la storia e la geografia, ma in genere la gente evita di ricordare ciò che è successo nel passato.
La Russia, fin da quando era zarista, è sempre stato un Paese a disagio perché si è sempre sentita circondata, in qualche modo bloccata, sentivano di non avere libertà di movimento. Con l’Unione Sovietica era lo stesso, perché è stata creata la Nato contro l’eventuale espansionismo sovietico. La situazione, dunque, si è tramandata. Tutto quello che sta succedendo adesso, perciò, è sempre dovuto al fatto che la Russia, non più Unione Sovietica, ha paura, si sente circondata da Paesi ostili. E il presidente dell’Ucraina, Zelensky, a mio parere fa una dimostrazione di forza quando in effetti tutto quello che la Russia ha chiesto è la dichiarazione ufficiale di non ingresso dell’Ucraina nella Nato e la demilitarizzazione del Paese. Ecco, non mi sembrano richieste assurde, ma Zelensky non ne vuole sapere. Per quel che mi riguarda oggi il problema di questa guerra si chiama Zelensky.
Un paio di settimane fa si è riunito il Consiglio atlantico della Nato, e i mass media, riportando una dichiarazione del segretario generale Stoltenberg fatta prima della riunione, hanno scritto “Stoltenberg gela l’Ucraina”, nel senso che secondo il segretario generale non c’era in agenda nessun argomento che riguardasse l’ingresso dell’Ucraina nella Nato. E’ dunque Zelensky che vuol far vedere di essere in gamba, super indipendente, costi quel che costi, il che per un capo di Stato mi sembra leggermente folle. Ma se gliel’hanno detto ufficialmente che al momento non se ne parla, perché non se n’è stato buono e tranquillo, senza agitarsi, invece di fare scoppiare questo caos? L’esercito russo contro quello ucraino… viene da ridere”.
L’ex capo di Gladio rileva delle contraddizioni significative nel comportamento degli americani: “Prima che iniziasse il conflitto, gli Stati Uniti dissero che se la Russia avesse invaso l’Ucraina, loro, come Stati Uniti e non come Nato, sarebbero intervenuti per difenderla. Poi hanno cambiato le dichiarazioni, cominciando a parlare di invio di aiuti, che significa quattrini, ed è ben diverso.
Ecco perché valutando la situazione attuale mi sento più russo che ucraino, perché penso sempre che il compito di un presidente di un Paese è prima di tutto quello di salvare la pelle dei cittadini e
non di compiere gesti di forza per una libertà che in pratica esiste e che invece secondo Zelensky non esiste.
(Putin, ndr) vuole solo fare in modo di non avere i Paesi Nato al confine. Se l’Ucraina entrasse nella Nato significherebbe avere i missili a 180 chilometri da Mosca, e onestamente voglio vedere chi ha qualcosa da protestare. Non dico a cannonate, ma coi missili di oggi 180 chilometri sono una distanza ridicola”.
Su Libero Quotidiano.it un interessante riassunto rivela la lucidità dell’analisi di Marco Travaglio, l’altro erede di Indro Montanelli (nel bene e nel male): “… Travaglio cita l’episodio dei 30 missili russi che hanno distrutto il cosiddetto International peacekeeping and security center di Yavoriv, a 25 km dal confine polacco: una base militare di 390 kmq, con soldati ucraini e occidentali. Washington ha subito minacciato rappresaglie per “difendere il territorio Nato”, ma spiega Travaglio che gli Usa hanno escluso di avere “militari coinvolti” nel Paese.
Per Travaglio Yavoriv è una base Nato camuffata: dal 1995 è segnalata sul sito della Nato e ha ospitato tutte le esercitazioni Nato anti-Russia. Ed è quindi secondo Travaglio l’errore dell’Europa aver portato l’Alleanza Atlantica alle porte dei territori russi governati da un presidente come Putin”.
Concordo.
Infatti l’opinionmaker di notevole spessore Massimo Giannini ha detto alla Lilli Gruber: “Non sono putiniano, ma c’è qualcosa nella dichiarazione di Biden su Putin (“è un criminale di guerra”, ndr) che fa riflettere: “è da un anno che stiamo armando gli ucraini”: personalmente ritengo che non sia una bella notizia.

Ps – Siamo nelle mani di due psicopatici: Vladimir e Volodymyr, e non ci rimane che la Opening Society di George Soros.
Ma l’Occidente è malato.

di Alexander Bush

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Alexander Bush
Alexander Bush, classe '88, nutre da sempre una passione per la politica e l’economia legata al giornalismo d’inchiesta. Ha realizzato diversi documentari presentati a Palazzo Cubani, tra questi “Monte Draghi di Siena” e “L’utilizzatore finale del Ponte dei Frati Neri”, riscuotendo grande interesse di pubblico. Si definisce un liberale arrabbiato e appassionato in economia prima ancora che in politica. Bush ha pubblicato un atto d’accusa contro la Procura di Palermo che ha fatto processare Marcello Dell’Utri e sul quale è tuttora aperta la possibilità del processo di revisione: “Romanzo criminale contro Marcello Dell’Utri. Più perseguitato di Enzo Tortora”.

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